Monarchia Presidenziale

di Stefano Bonacorsi per Caratteri Liberi

Non v’ingannino i litigi mediatici tra lo spaccone fiorentino Matteo Renzi, il grillino prestato al Pd e ora leader di un partito ad personam; e l’avvocato che nessuno ha ingaggiato né tantomeno eletto Giuseppe Conte. Non v’ingannino nemmeno le trame parlamentari o di palazzo come si usa dire, perché qui il palazzo che conta è uno e uno soltanto, quello del Quirinale.

L’attuale inquilino Sergio Mattarella, monarca silenzioso e in scadenza, apparentemente lascia che le trame parlamentari si compongano ma, e lo si può notare quando i suoi oracoli parlano (i così detti quirinalisti), l’ultima parola è la sua. Sua lo è stata quando accettò Giuseppi sullo scranno di Palazzo Chigi a condizione che Savona non sedesse al Mef; sua lo è stata quando ha varato il Giuseppi II con un cambio di maggioranza a dir poco grottesco. E sua sarà anche la responsabilità del prossimo governo che sì dovrà avere la fiducia delle Camere, ma dovrà in primo luogo avere il suo avvallo.

La nostra Costituzione sedicente “più bella del mondo” consente a Sergio Mattarella di poter fare tutto questo. Gli ha consentito, una legislatura fa, di varare un Governo in cui ne sostituiva il capo precedente e cambiava di posto un paio di ministri. Gli ha consentito di porre il veto su una nomina ministeriale, di non prendere in considerazione l’idea di fare ricorso alle elezioni una volta caduto il Conte I e, soprattutto, dopo il cambio di assetto costituzionale dovuto al referendum.

E se pensate che ce la stiamo prendendo con l’attuale Capo dello Stato, facciamo passi indietro al suo predecessore, il monarca Re Giorgio Napolitano, il quale in comune col suo successore, è stato eletto a maggioranza assoluta, da un parlamento di fatto illegittimo poiché incostituzionale era stata dichiarata la legge elettorale con cui quei parlamenti erano stati eletti (la legge Calderoli meglio nota come “Porcellum” in vigore per le politiche 2006, 2008 e 2013 e dichiarata incostituzionale nel 2014).

Per farla corta, il nostro impianto istituzionale ha di fatto creato una sorta di monarchia presidenziale: laddove il parlamento è in carica per cinque anni ma può essere sciolto anticipatamente, laddove un governo dura, in media, un annetto o poco più, ecco che il Presidente della Repubblica, in virtù di un mandato che dura 7 anni, è la vera garanzia sia per la cittadinanza, ma soprattutto per le cancellerie internazionali.

Raramente infatti si è assistito a un Presidente della Repubblica dimissionario, è accaduto con Segni per motivi di salute; con Leone e Cossiga per contrasti istituzionali ma, si badi bene, gli ultimi due hanno avuto a che fare con periodi storici complessi (il primo attraversò in pieno la burrasca degli anni di piombo, il secondo anticipò lo scoppio di Tangentopoli) e soprattutto erano mutati gli equilibri parlamentari.

Tuttavia, in ormai 75 anni di storia repubblicana, si può affermare che la monarchia è stata sì rimpiazzata dalla repubblica, ma la figura del Capo dello Stato è drammaticamente simile a quella di un re, anche se eletto.

Ribadiamo il concetto: la figura del Presidente della Repubblica è quella che da più garanzie nonché soluzioni di continuità anche all’estero, non è una carica onorifica e super partes come si tende a far credere, ma espressione di una maggioranza parlamentare (quindi politica) e punto di riferimento per tutti gli assetti del potere nella Repubblica Italiana.

E’ al presidente che spetta la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e, seppur non abbia potere di revoca, esiste la così detta moral suasion, la sfera di influenza che il Presidente esercita sul governo. Moral suasion che si è vista in più di un’occasione in svariati mandati presidenziali e che oggi, apparentemente, non viene esercitata. 

Di fronte a una crisi di governo pressoché perenne e, soprattutto, a fronte di provvedimenti al limite della legittimità costituzionale, appare davvero improbabile che nemmeno una volta il Capo dello Stato sia intervenuto per raddrizzare la barra del governo, solo per dimostrare la sua imparzialità. 

In passato abbiamo visto presidenti assumere iniziative che poi si sono rivelate disastrose per il paese (vedi alla voce Governo Monti); a oggi l’attendismo del Quirinale non significa soltanto che stia aspettando formalmente una proposta da chi siede in parlamento: sta a significare che comunque, l’ultima parola è sempre la sua, e che se non sollecita in nessun’altra maniera se non quella delle comunicazioni a mezzo stampa, la situazione è più che accettata. 

Dunque non v’ingannino le polemiche da salotto televisivo. L’ultima parola spetta al monarcca.

Pubblicato su Caratteri Liberi il 6 gennaio 2021

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