Cenerentola a chi?

Le abbiamo lasciate così, s’è detto che hanno vinto comunque, che hanno fatto innamorare l’Italia, che hanno sfondato muri d’ascolto sulla Rai, che rappresentano un’Italia da imitare. Però, tempo 24 ore ce le siamo già dimenticate, con buona pace della colata di retorica che ha caratterizzato l’evento. Senza scomodare un commento di Leo Turrini sul defunto Supervolley di quattro anni fa, epoca in cui fu il mondiale maschile ad essere ospitato in patria, se l’evento non fosse stato casalingo, probabilmente non ce ne saremmo accorti e non staremmo qui a snocciolare numeri e cifre, record, affetti istantanei e tifoserie da Twitter capitanate a Fiorello e compagnia. Anche perché qualche settimana prima, in Polonia s’era tenuta l’edizione maschile, una delle più disastrose alle quali la nostra compagine abbia preso parte (tredicesimo posto per chi non lo sapesse) nonostante ci fossero buone aspettative a riguardo (si veniva da una serie di podi consecutivi dal 2011 un bronzo olimpico, due argenti europei e il terzo posto in World League quest’anno) ma nessuno se l’è filata neanche per sbaglio, laddove la nazionale femminile, complice l’organizzazione in casa, ha avuto un’alta risonanza mediatica, con la Rai in prima fila persino in HD. Ma le ragazze per cui saremmo andati pazzi, non venivano proprio da un periodo florido anzi, tolti i giochi del Mediterraneo dello scorso anno, dove hanno trionfato con una compagine giovanile, c’è un ricambio generazionale in corso, al quale hanno dovuto supplire convocando alcune storiche senatrici (su tutte la capitana Francesca Piccinini) e sostituendo l’allenatore Mencarelli col ritorno del più blasonato Bonitta, il quale non ha ripetuto l’exploit di Berlino 2002 quando anche la nazionale femminile è diventata campione del mondo in un immaginario passaggio di testimone tra i ragazzi, usciti dalla “generazione di fenomeni” degli anni ’90 e loro. Nonostante i risultati non siano mancati, le cose non sono andate proprio così. Fu dunque vera gloria? Saremmo disonesti se dicessimo di no, perché a prescindere dalla formula (che cambia a tutte le edizioni e che quindi può favorire la compagine ospitante), al quarto posto non ci arrivi se non hai un briciolo di talento e motivazione. E sarebbe disonesto dire che queste qualità mancavano.
Il problema è che è finita solo in gloria, senza che questo evento che ha avuto un grandissimo successo, abbia una soluzione di continuità nel lungo periodo. E se pensiamo che le comparsate televisive della Diuf o di altre protagoniste del mondiale appena concluso bastino a far progredire il movimento ci sbagliamo di grosso.
Questo weekend parte la settantesima edizione del campionato femminile di pallavolo e parte con un handicap sistemato all’ultimo minuto dopo l’esclusione da parte della federazione della squadra di Orvanasso, a poco più di una settimana dal via alla competizione. Avete per caso sentito i media nazionali, che tanto hanno celebrato le ragazze della pallavolo, dare notizia di questa disdetta che, tra l’altro, ha lasciato a piedi giocatrici, staff e allenatori? No, giusto i siti specializzati e poco altro.
Ed è qui che sta l’inghippo: la pallavolo è il secondo sport di squadra in Italia per numero di praticanti, è tra i primi praticati da donne e, in quanto tale quello che da allo sport femminile più visibilità. Ma è alla visibilità che ci si ferma, al fatto che non si vada oltre l’evento che da un po’ di lustro al movimento. Del campionato non si sente praticamente mai parlare, né dei successi di club ottenuti a livello internazionale. Ma il peggio è che non si parla delle condizioni di lavoro delle giocatrici, confinate in un semi- professionismo, per non dire dilettantismo, con pochissime tutele a dispetto degli ingaggi spesso cospicui (se paragonati a un normale lavoro e se NON paragonati ai colleghi maschi e di sport più ricchi). Il caso di Orvanasso ne è la prova e, se non bastasse citiamo il caso di Modena, dove un paio di anni fa la squadra, ben lontana da quella che adesso si propone ad affrontare il campionato, non arrivò nemmeno a metà stagione a causa del ritiro dello sponsor e venne rifondata l’estate successiva. Nel frattempo giocatrici a spasso e campionato zoppo.
Il campionato dunque riparte e nessuno se ne accorge, nessuno prende spunto da quanto di buono fatto nel mondiale appena concluso e tanti saluti. Del resto, da una lega presieduta da un politico in cerca di ricollocazione, e da un sistema fatto per creare bilanci consolidati e appianare perdite non mi aspetto molto. Peccato, perché negli ultimi 25 anni la pallavolo, maschile e femminile, ha sviluppato un sistema industriale con un notevole indotto. La crisi del sistema Italia si vede anche da questo: aver spremuto finché c’era da spremere e, adesso che il sistema annaspa, essere incapaci di rinnovarlo. Anche se, come nel caso dei maschietti con la Superlega, un inizio da qualche parte si vede.

Stefano Bonacorsi

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lambrusco e pop corn

E così, pare che la notizia sia che Ligabue, nel senso del cantante, abbia sbancato i botteghini oltreoceano. Le foto documentano il sold out anche in quella promise land che il buon Luciano avrà sognato un sacco di volte, consumando i dischi di Bruce Springsteen. Tutto esaurito, dopo che in Italia ha esaurito le strategie per imporsi al pubblico. E allora cosa c’è di meglio che raccontare di un tour mondiale, addirittura toccando l’America? E magari nel farlo avvalersi di una strategia di marketing e comunicazione che faccia pensare che in terra a stelle e strisce è arrivato il messia del rock italiano? Perché diciamoci tutto, se Ligabue un pregio ce l’ha, è quello di sapersi vendere come prodotto vincente: è un re del marketing e, il vero successo in America, ce l’ha avuto il suo ufficio stampa, diversamente non si spiega perché un articolo come questo descrive le cinque date negli Stati Uniti come un successo strepitoso, invece che per quello che è: un saluto agli italiani residenti a New York, Toronto, Los Angeles, San Francisco e Miami. Perché chi legge o ha letto un po’ di riviste specializzate nel settore, sa come funzionano queste cose e Ligabue non è certo il primo a provare in terra americana. Battisti fallì clamorosamente nonostante le aspettative anche da parte dei colleghi di lingua inglese (Pete Townshend e David Bowie ad esempio) e, più di recente, la Pausini ha vinto un Grammy, ma con un album in lingua spagnola, perché il suo tentativo in inglese non se l’è filato nessuno. Little Luciano (perché Big era Pavarotti) non ha nemmeno fatto lo sforzo di tradurre i suoi testi in inglese, e lo sanno anche i sassi che gli album cantati in italiano, eccezion fatta per Ramazzotti, Conte e pochi altri, al di là del Canton Ticino non vendono. Che poi voglio dire, artisti con meno seguito, in termini di pubblico soprattutto dal vivo, come Cristina Donà, Carmen Consoli e gli Afterhours, per lo meno quando hanno tentato il salto per il mercato anglosassone, hanno giocato la carta dei testi in inglese. E solo gli Afterhours hanno suscitato un interesse degno di questo nome, pur se limitato al circuito “indie”. Per avere notizia di un gruppo italiano con un successo di pubblico che sia andato oltre al vezzo di farsi un coast to coast e suonare nei locali storici del rock’n roll (grazie ai buoni uffici dei vari management) bisogna risalire alla PFM che, tra il 1974 e il 1978 girò in lungo e in largo gli Stati Uniti, con estenuanti tour e pubblicando album studiati per quel mercato. Oggi, nonostante la menino ancora con la storia di quei tour (la cui scaletta, assieme al concerto con De Andrè in patria è un evergreen) al di là dell’oceano non se li ricorda nessuno.
A cosa è servito allora il “Mondovisione Tour” versione “Mondo”? A fare ulteriore pubblicità all’album stesso e al tour, facendo credere che l’album e il concerto son talmente buoni che anche in America hanno voluto sentirli. E forse anche ad abbellire un viaggio che, diversamente sarebbe stata una gita con annessa registrazione nello studio di David Grohl (in foto non c’è e probabilmente quando glie lo diranno esclamerà “Ligabue chi?”), dato che oramai è risaputo che oltreoceano sono più professionali e attrezzati che non in Italia e con un miglior rapporto qualità prezzo. Chiedere a Rigo Righetti, ex bassista di Little Luciano che, quando ha inciso il suo secondo album solista, lo ha fatto in New Mexico.
Detto questo, Caro Liga, sappi che ti ho stimato e apprezzato, ritengo “Buon compleanno Elvis” un gran bel disco e “Il giorno di dolore che uno ha” una delle più belle canzoni italiane. Se devi fare il figo pero’ fallo bene diamine! Pubblica una raccolta di tuoi successi tradotti in inglese e prova a pubblicare un album per il mercato anglosassone. Non hai più niente da perdere, a noialtri son 25 anni che propini gli stessi accordi e c’è Federico Guglielmi che ti chiede da almeno 20 di provare a fare un “Nebraska” in versione bassa emiliana. Va bene che fai il fighetto facendo vedere che Mauro Pagani ti ha insegnato a suonare il bozuki, ma caspita, ce la fai a rischiare qualcosa dopo 25 anni? O il massimo che ti concedi è il concerto per gli italiani all’estero? Complimenti al tuo ufficio stampa.

Jack

rinascere ogni giorno


Un guerriero alato
è entrato nella mia stanza
rivestendola di luce celeste
decapitando i demoni che la popolavano
e scoprendomi nudo
in un angolo di apatia.

E’ il ritorno alla vita
una veste bianca mi avvolge
e una mano mi guida
pronto a rinascere ogni giorno.

La catena è spezzata
di tanto in tanto mi chiedo
a cosa fosse legato quell’anello rotto
e allora scivolo ed è come
se stessi perdendo il mio volo celeste
come se non ci fosse via di uscita.

Ma è la luce ora 
che guida il mio cammino
devo solo ricordarmi
che ho una parola buona per ogni giorno
a cui aggrapparmi
perché c’è un premio ad attendermi
là, dove non si vede.


Stefano

I nazisti dell’Illinois alla prima crociata

Credo sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. O per lo meno provarci. Omettendo chi sono e perché, per cosa hanno manifestato la scorsa domenica le sentinelle in piedi? Per il seguente disegno di legge che istituirebbe il reato di omofobia. Riporto per comodità dei pigri la parte secondo me più rilevante di quella che più correttamente, anziché legge sull’omofobia, andrebbe intitolata come riforma della legge 654/1975 “Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966”. Il testo modificato all’articolo 3, se approvato, sarebbe il seguente:

Comma 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima.


Comma 3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.


Secondo i detrattori del disegno di legge, si tratterebbe di un’iniziativa liberticida in quanto istituirebbe un reato d’opinione. Ai sostenitori invece questa legge pare addirittura leggera (a leggere ciò che ne dice il suo relatore). 
A mio modesto parere il problema sulla libertà di espressione esiste e l’approvazione di questa legge costituirebbe un problema. Non tanto perché non si potrebbero esprimere opinioni (chiedere al presidente della Federcalcio per avere conferma), ma perché il giudizio spetterebbe a un soggetto terzo, il giudice, che di volta in volta dovrebbe chiarire cosa è dichiarazione discriminante e cosa no, quando si parla di unioni tra persone dello stesso sesso e adozioni per le stesse. In altre parole, trattasi di un possibile pasticcio all’italiana.
Prova ne sia il fatto che il nazista dell’Illinois fermato domenica a Bergamo è stato in odore di indagine per apologia di fascismo, reato diverso da quello descritto sopra, ma la leggerezza con cui è stato segnalato e con la quale sarebbe potuto essere indagato, processato e condannato è sotto gli occhi di tutti. Penserete che stia esagerando ma vi ricordo che nell’Italia di Schettino tutto è possibile. Il ragazzo che contro- manifestava ironicamente, molto meno ironicamente è stato accusato di fascismo, lo stesso fascismo che hanno scomodato persone con ancora meno senso dell’umorismo, in piazze come Bologna, giustificato solo in parte dal fatto che al sit- in hanno partecipato esponenti di Forza Nuova.

Citando il Nanni Moretti di “Palombella Rossa” le parole sono importanti. Lo sono ancora di più se si è consapevoli di quello che si sta facendo. Perché pur ritenendo legittima la manifestazione delle Sentinelle in piedi (banalmente etichettata come manifestazione contro i diritti dei gay) dubito che molti dei quali siano andati a leggersi un libro in piazza si siano degnati di conoscere per filo e per segno ciò per cui manifestavano. Allo stesso modo, i sostenitori della causa LGBT devono stare attenti alla leggerezza con cui bollano la questione come retrograda, bigotta e omofobica. La stessa legge che darebbe loro la tutela contro la discriminazione potrebbe, anzi può già essere usata contro di loro. Perché molte persone che erano a manifestare, anzi la maggior parte erano persone motivate da un’appartenenza religiosa e il testo attuale della legge prevede già il carcere per la discriminazione religiosa nella stessa forma in cui verrebbe disciplinata la discriminazione per l’appartenenza di genere. Ora, stando a quanto si è visto, sentito o semplicemente letto anche solo in rete, ce ne sarebbe abbastanza per aprire un fascicolo anche più serio rispetto a quello del nazista dell’Illinois. Come verrebbe giudicato il magistrato che si avventurerebbe in tale inchiesta? Come verrebbe presentato il fatto all’opinione pubblica? 


Saremmo al paradosso, e di paradossi probabili dovuti alla smania di essere politicamente corretti e di disciplinare e catalogare ogni fattispecie di umanità esistente e relativo diritto violato ne ho già parlato in altra sede. Tuttavia è bene rimarcare che non servono leggi ad hoc, che si prestano ad una interpretazione elastica o restrittiva, bensì giudici preparati e prove certe per determinare dove avviene la violazione della legge (in questo caso la discriminazione) e dove no. Tutto il resto sono chiacchiere generalizzate che possono diventare pericolose, e che portano ad improbabili crociate e relative jihad. Altro che nazisti dell’Illinois.


Stefano Bonacorsi

  

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