
il rischio di essere retorici c’è, ma non posso farci nulla, alla fine non mi importa. oggi più che nove giorni fa mi sono sentito ferito. ho parenti che vivono nella bassa, amici e conoscenti. mi ha telefonato mia madre nelle nove e venti per dirmi che aveva tirato di nuovo forte, io ero in macchina, a Pavullo di ritorno da Modena. ho avvertito un senso di impotenza come poche altre volte nella vita. arrivato a casa, in officina ascoltavamo assiduamente una radio locale per avere notizie in tempo reale. ho girato non so quanti tweet (per quello che può contare) ed sms per sentire gli amici tra Modena e Bologna. una giornata in ansia. all’una, seguendo Rainews 24, apprendiamo di un’altra forte scossa. non la sentiamo ma d’istinto guardiamo il lampadario: dondolava.
la sensazione è stata strana, e sarà strano anche domani. le zone colpite distano un centinaio scarso di chilometri, le vittime sono emiliani come me, modenesi, bassaroli, come li definiamo in uno slancio campanilistico. eppure pensando a loro, pensando al fatto che viviamo sulla stessa terra, solo con due modi differenti di viverla e interpretarla (ma alla fine montanari e bassaroli sono due facce della stessa provincia) veniva da piangere, da lasciare il lavoro e correre giù, farsi quelle due ore di macchina e mettersi a disposizione. siamo gente dalla scorza dura, abituati a chiedere poco, poco propensi al vittimismo, pronti a darci da fare. pare tutta retorica ma è così. forse siamo pure un po’ sboroni, con quel voler essere un po’ americani, un po’ eroi anche se goffi, perennemente in posa e fuori posto, un po’ come (purtroppo) ben ci hanno rappresentato Vasco Rossi e Ligabue in questi anni. però siamo questi, e in questo momento ci sentiamo tutti un po’ più vulnerabili, come se tutto quello che abbiamo ci dovesse crollare sotto i piedi, come se tutto quello a cui abbiamo dato importanza fino a oggi non contasse più che tanto. ci siamo resi conto in dieci giorni, che siamo piccoli come formiche, che tutte le nostre corse alla fine non sono poi così necessarie. siamo frastornati e increduli, ma siamo uomini donne e ragazzi pronti a ripartire, a farsi strada nella polvere. non aspetteremo (non l’abbiamo aspettato prima) il governo, né faremo pianti isterici in diretta televisiva. non è stato fatto prima, quando l’attenzione dei media nazionali era scarsa, e non sarà fatto adesso che i morti e gli sfollati sono aumentati. non sarà un sisma a piegarci, e uso il plurale non perché retoricamente siamo tutti bassaroli, ma perché (anche retoricamente ammettiamolo) sono emiliano, sono fiero di esserlo e di essere figlio di una terra fiera. di qua c’è passato di tutto: guelfi, ghibellini, Estensi, Borboni, Asburgo, Napoleone, papi, carbonari, regio esercito, socialisti, fascisti, nazisti e partigiani. abbiamo visto nascere il tricolore, abbiamo avuto più di una guerra, ed eravamo il confine della linea gotica. tutto questo era racchiuso nelle chiese, nei castelli e nei monumenti che il terremoto ha spazzato via. ma non ci ha fermato la neve lo scorso inverno (era più colpita la Romagna, ma importa poco, la regione è la stessa e alla fine è tutto campanilismo, il carattere dei romagnoli è simile, anzi, meno burbero), e non ci fermerà il terremoto. ripartiremo, a fatica, inghiottendo le lacrime ma ripartiremo. forti dei nostri ricordi ricostruiremo. si potrebbe anche dire che potrebbe essere l’occasione per l’Italia intera di ripartire, ma non arriverei a tanto, sarebbe questa sì, inutile retorica. mi limito a dire che sorprenderemo tutti, che ognuno, dal suo angolo di Emilia o della Romagna, farà del suo meglio (o del suo peggio, i farabutti non mancano purtroppo) per far sì che la prossima scossa sia quella delle nostre solide spalle, per toglierci la polvere di dosso.
Stefano Bonacorsi
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