Social zapping (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 30 aprile 2020)

Curiosamene, pur non mancando in tv le cose da guardare, di questo periodo mi trovo meglio su internet. Ma non parlo delle tante offerte streaming che ci sono, ma delle innumerevoli iniziative social che vengono prese, in virtù del fatto che, purtroppo, oramai si esce solo dalle finestre social. Mi ci sono messo anche io con le mie rassegne ad alta quota, ma il panorama è molto interessante, e non mi riferisco solo alle altre rassegne di Porro, Capezzone o Maglie. Massimo Del Papa ad esempio ha inaugurato la sua diretta anarchica intitolata “Vado al Massimo”, e in questi giorni di concerti da tinello ci sono state pure esibizioni dei Rolling Stones. Per la festa della liberazione, e vedremo la replica anche per il I maggio, abbiamo assistito alle grandi piazze virtuali, con cose anche carine se vogliamo, ma soprattutto gratuite, accessibili e… sovrapposte!

In pratica, e questa forse è una brutta notizia per i media mainstream, i social sono diventati un mezzo di intrattenimento e uno, anziché guardarsi un film in tv, se lo può posticipare sulle piattaforme di streaming. Lo stesso vale anche per i talk show o i vari programmi che vengono fatti e magari sacrificati nelle loro dirette perché n-mila persone preferiscono guardarsi le trasmissioni fatte in diretta Facebook, Twitter o Instagram. Che a loro volta sono video guardabili in replica.

Ci siamo trovati insomma con una nuova modalità di visione, un social zapping col problema che magari non riesci a passare agevolmente da un profilo all’altro o da un social all’altro. E soprattutto, ci siamo ritrovati con un offerta davvero senza precedenti di prodotti video, a volte grotteschi, a volte ben fatti, ma che probabilmente scompariranno in maggior parte, una volta esaurita la quarantena. E’ il caso di dire… vedremo!

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Lo stato dell’arte (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 29 aprile 2020)

Sorprende, ma fino ad un certo punto, il discorso di Lucia Borgonzoni di oggi in Senato. Posto che, a mio modesto parere, sarebbe dovuta restare all’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna a guidare l’opposizione e a far crescere la classe dirigente del suo partito nella sua regione; mi è finalmente chiaro perché Salvini ha insistito perché restasse al Senato, come referente per i beni culturali: perché è competente in materia.

E quello che sorprende, è che un discorso del genere, sulla cultura, ma soprattutto sulla cultura come lavoro e non come passatempo per borghesi sinistri e annoiati, non l’ho mai sentito fare nemmeno quando, da studente militante a sinistra, ogni qual volta che c’era un taglio alla cultura ci si stracciava le vesti? E sapete perché? Perché quando a sinistra si parla di cultura, si parla di quella funzionale ai suoi bisogni, i concerti da feste dell’Unità, i film da festival del cinema indipendente o sedicente tale, la musica impegnata, la satira ma solo da una parte, i fumetti militanti, i quadri che raffigurino sempre e comunque il quarto stato.

Oggi la Borgonzoni, che magari non lascerà un segno nella storia, in un discorso di poco più di sei minuti, ha comuque snocciolato il tema riguardante i fondi alla cultura, dimenticata da tutti, e di cui non sentirete parlare al concerto del I maggio. E lo ha fatto da destra, la tanto odiata destra che a sentire gli intellò, è piena solo di ignoranti e che fino ad oggi ha avuto Sgarbi come portavoce della cultura ma, bontà sua, trincerato dietro al suo carattere istrionico e selvaggio. Quella destra tanto bistrattata quando Tremonti diceva che con la cultura non si mangia, quella destra per la quale non è ammessa intelligenza, perché kome dikono i kompagni la kultura è di sinistra!

Ecco compagni, vi siete lasciati portar via un altro tema, dopo il pane vi hanno fottuto le rose! E ben vi sta, a cullarvi nella vostra autoreferenzialità. La cultura è un lavoro, la cultura dà lavoro, con la cultura si mangia, e non solo se si ha la tessera di partito. Ma non imparerete questa lezione, fino a quando penserete di avere ancora a disposizione l’egemonia culturale di questo paese. L’intervento della Borgonzoni, dimostra che anche questa sta scricchiolando pericolosamente.

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Chi semina vento…(aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 28 aprile 2020)

E così in piena pandemia, con tutto ancora da vedere e decidere, la stampa main stream, ma anche quella più legata al pettegolezzo da credito alle presunte spaccature in seno alla Lega, e alle presunte rotture tra Salvini e Meloni. Passi per Dagospia che ne azzecca il giusto, ma che di gossip ci campa, il titolo fuorviante sull’intervista a La Stampa di Giorgia Meloni, con l’intervista che dice tutt’altro da un po’ da fare. Vedremo, lo ripeto, come si strutturerà il gruppo Gedi a livello locale, così quando avremo anche la truppa dei giornali veneti e lombardi che soffieranno sulla presunta scissione Salvini-Zaia, capiremo che di vero c’è poco. Non tanto perché da queste parti si tifi Lega, ma perché più che leggere Dagospia, andrebbe letto Atlantico Quotidiano, nello specifico Paola Sacchi, che spesso sul quella rivista on line, riscopre la storia del partito del Senatur 2.0. Ecco, fatevi una letta di quello anziché dar credito a chi vuol mettere zizzania. Sono due giorni su la Verità di Belpietro si focalizza l’attenzione su chi fomenta la spaccatura tra Giorgetti e Zaia da una parte e Salvini con Borghi e Bagnai dall’altra. E il paradosso è che col fatto che Zaia ha più che ben gestito la situazione in Veneto, allora adesso è diventato rispettabile, quando due mesi fa altro non era che l’ennesimo buzzurro razzista del nord che accusava i cinesi di mangiare topi vivi. Nessuno, guarda un po’, invece fa caso a Bonaccini che di fatto è già leader del Pd nordista (Sala si è un po’ bruciato di sti tempi, ma lo sosterrà) ed è lì lì che tra un pò si sostituirà a Zingaretti, forte dell’essere l’uomo che ha fermato Salvini in Emilia-Romagna, e della stampa che ben si guarda dal sottolineare che ha fatto errori anche lui, che niente hanno da “invidiare” a quelli di Fontana in Lombardia. Tutte chiacchiere? O siamo sempre ai due pesi e due misure del tipo che Fontana ha fatto un disastro in Lombardia ma Bonaccini no e Zaia scalzerà Salvini ma Bonaccini starà al suo posto? C’è un detto, non quello che ho riportato nel titolo, che dice che la lingua batte dove il dente duole. Ebbene, la pandemia copre, oltre alle debolezze del governo, anche le debolezze di chi l’esecutivo lo sostiene. Provate a invertire il canone, si parla della fragilità dell’asse sovranista, della corsa alla leadership leghista… ma nessuno fa caso che Bonaccini studia da statista. Vedremo se il tempo mi darà ragione.

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The show must go on? (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 27 aprile 2020)

Leggo da alcuni giorni lo sconforto che ha preso ad alcuni “amici” su Facebook, professionisti dello spettacolo o, come il sottoscritto, semplici amatori volontari, che fanno musica per scopo aggregativo in quanto suonatori di banda. Lo sconforto è che Giuseppi si è scordato di loro e di noi. Dei professionisti e dei volontari. Di gente che comunque il pil lo fa girare e lo crea. La prossima volta che sento dire che l’Italia è il paese della cultura metto mano alla pistola. E’ notizia di oggi che purtroppo hanno trovato il modo di fare quella baracconata insopportabile, seconda solo a Sanremo perché fortunatamente dura un giorno soltanto, del concertone del I maggio. Il concerto dei sindacati dove, a mia memoria, non ho mai, mai, mai e ripeto mai sentito un solo appello per i precari della musica, i disoccupati, i sottoccupati, i musicisti sanremesi pagati 50 euro al giorno, i tecnici di palco, i fonici, i manovali che montano, smontano (e talvolta muoiono, vero Jovanotti?) quelle megastrutture buone per quelle messe laiche del rock, autoreferenziali, con pubblico di pecoroni al seguito adorante e insopportabile.

In questi giorni abbiamo celebrato le nuove canzoni di Bob Dylan e parlato di quanto spaccano gli Stones dai loro salotti di lusso. Abbiamo visto i Modena City Ramblers fare le maratone Facebook per il 25 aprile ma loro, che sono così compañeros, loro che “non c’è I maggio senza Bella Ciao”, loro accidentaccio che sono pure uno dei miei gruppi preferiti, li avessi sentiti una volta spendere una parola per i loro colleghi più disparati.

Lo stato si è dimenticato di tutti: associazioni culturali, di danza, scuole di musica private, vale a dire le associazioni di chi non è riuscito a entrare nella mangiatoia statale, precari dei teatri e quant’altro. Gli indipendenti veri, non i sedicenti indie da centro sociale, sono alla fame. Quelli che non hanno un giro fuori dalle associazioni stile Lions o Rotary, o che non hanno la tesserina di partito, o anche solo del circolo culturale legato al partito, sono fuori dai giochi.

Molte bande, legate all’indotto delle sagre e ai cerimoniali civili, e che sono il primo approdo musicale soprattutto nei piccoli paesi, quest’anno si sono già viste ridurre il contributo da parte dei comuni di appartenenza, con le molte feste che salteranno mancheranno i sostentamenti minimi e per molte la ripartenza sarà difficile. Idem i cori, spesso legati alla vita di parrocchia, ma coi divieti di assembramento, e le messe vietate, anche qui campa cavallo. Dai professioni non allineati, fino ai dilettanti scalzacani, la cultura è finita nel dimenticatoio. Non che prima ci fossero tutte queste attenzioni, ma almeno tra amici degli amici qualcosa veniva tenuto vivo. E così continuerà ad essere se non ci si rende conto di cosa si sta perdendo in questo periodo. Perché al di fuori di chi riuscirà a entrare in quell’altra mangiatoia che è il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) il rischio è che quando ci sarà da ripartire anche solo con una festa in piazza, anche lì si conteranno i cadaveri.

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Mantieni la distanza (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 26 aprile 2020)

Ditemi voi se si può fare una conferenza stampa alle otto e venti di una domenica sera dopo aver fatto aspettare l’ennesimo week end senza tra l’altro aver tracciato una linea chiara. Se io domani avessi dovuto riaprire, ma vi sembra logico impararlo con neanche dodici ore di anticipo? E come fa uno a riorganizzare tutta la macchina? Io ho una piccola impresa e non avrei avuto troppe difficoltà. Ma per l’ennesima volta non si è capito nulla. Se dicono che riaprono i cantieri, io che lavoro nell’indotto edilizio faccio un salto sulla sedia, ma se poi nello specifico leggo che saranno solo i cantieri pubblici sul dissesto idrogeologico, forse un paio di brutte parole le dico. Insomma più che fase due si è alla fase uno e mezzo come dicono già in tanti, e di certo c’è che la fase uno è stata gestita bene solo in Veneto. I contagi calano relativamente, a mettere d’accordo i virologi sembra di assistere a un duello tra pisani e livornesi, un reale piano per ripartire non c’è, o meglio, è il classico aiutati che Dio ti aiuta, e allora signori miei, mano alla Bibbia e ripassiamoci i salmi, perché come si cantava in “Luna Rossa” qua non ci sta nisciuno.

L’altra cosa certa è che abbiamo un Presidente del Consiglio che è in odore di autoritarismo, ma nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica, muove un dito. C’è una narrazione unica del virus e della politica, l’opposizione sta scomparendo e la libertà di stampa, ancora per un po’ rimane, poi vedremo se potremo continuarla sui social.

Conte ne ha detta una giusta: se ami l’Italia mantieni la distanza. E’ ora di distanziarsi da questo governo incapace, è ora di chiedere a tutta voce la centralità del Parlamento, è ora di fare la piazza virtuale non per cantare Bella Ciao, ma per far vedere che ci siamo e che non siamo inermi. Prima hanno sottovalutato il virus, poi ci hanno condannato a stare in casa e adesso “ci permettono” di riprendere le nostre attività. Il linguaggio è da Corea del Nord, le modalità di azione sono pressoché fasciste ma i bella ciao pensano che il problema sia Salvini. E ci dobbiamo pure sorbire la lezioncina che questo virus ci insegna quanto è importante la libertà.

C’è qualquadra che non cosa.

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Nuove resistenze (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 25 aprile 2020)

Mai come in questi ultimi anni, la Festa della Liberazione, o 25 aprile, ha diviso gli animi anziché unirli. Andrebbe letto ogni anno, a ridosso di questa ricorrenza, il bel libro di Roberto Chiarini “25 aprile. La competizione politica sulla memoria” (edizioni Marsilio) per avere un quadro sufficientemente neutrale che aiuti a capire come si è arrivati alla considerazione della Resistenza che c’è oggi.

Perché negli anni il 25 aprile, è diventata sempre più una festa di parte, soprattutto dal 1994 in avanti, con l’avvento di Berlusconi e lo sdoganamento del MSI che fino ad allora era stato escluso dalla spartizione del potere… [l’aggiornamento di oggi prosegue su Caratteri Liberi]

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Covid Songs (playlist di aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 24 aprile 2020)

Lo ammetto, stasera l’aggiornamento l’ho tirato per le lunghe perché, finita la rassegna e ripreso il tran tran da smart worker, non mi sono appuntato, né ho trovato qualcosa di interessante su cui dover tornare questa sera. Fino a quando, scartabellando sul web, ho trovato che i Rolling Stones, dopo aver di fatto incantato il mondo, col loro cazzeggio casalingo sulle note di You Can’t Always Get What you Want, hanno licenziato un nuovo singolo Living in a Ghost Town. E d’accordo, non è la nuova Satisfaction, ma come non rimanere stupiti, soprattutto dopo che Bob Dylan è ha buttato fuori due canzoni inedite nell’arco di poche settimane?

Ma soprattutto, come non rimanere sconfortati dalle colate di retorica dei nostri cantori tricolori che si apprestano, uno più retorico dell’altro a festeggiare il 25 aprile? E passi per i Modena City Ramblers, diamine ci stan facendo il fondo pensione a cantare Bella Ciao, ma vedere Vasco Rossi, che raramente si è esposto in baracconate simili, partecipare a #iorestolibero, pur se per scopo benefico (lui che diceva che la beneficienza si deve fare in silenzio e col proprio portafogli…) porta a pensare che, uffa sì, un bel tacer non fu mai scritto. Anche perché l’intento è quello della gigantesca piazza virtuale, di una piazza che sì, va bene, ricorda, ma occorrerebbe che questa piazza virtuale proprio perché si festeggia la Liberazione, dicesse anche la sua circa le restrizioni di libertà imposte da un governo che sta violando tutto ciò che può violare di quella Costituzione, nata proprio da quella Liberazione.

Apprezzerei pertanto, più qualche singolo disinteressato, la voce usata giusto per cantare, come Dylan o come Jagger appunto, i comizi lasciateli all’Anpi, se voglio le canzoni “combat” o altro mi guardo le canzoni dalla soffitta di Cisco Bellotti, ma vi prego risparmiateci la retorica, o almeno, se dovete dire qualcosa contro, fatelo sul serio.

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Il futuro dello Gedi (aggiornamenti alla rassegna ad alta quota del 23 aprile 2020)

Sarà molto interessante vedere come si svilupperà il più grande gruppo imprenditoriale italiano, ora che gli Agnelli, attraverso Exor, ne hanno preso il sopravvento. E già vediamo il valzer dei direttori, Feltri Junior promosso all’Huffington Post al posto dell’Annunziata, Molinari al posto di Verdelli a Repubblica e Giannini a La Stampa. Si rimane nel filone anti sovranista, ma sicuramente non sarà tenero con l’attuale governo e vedremo alla luce degli appena approvati recovery bond quale sarà la linea editoriale che dovranno seguire. La cosa più interessante sarà vedere i riflessi sull’editoria locale, le varie Gazzette (tra cui quella di Modena) che è arcinoto non brillano per essere super partes. Gidibì, come lo chiamava il compianto Giampaolo Pansa, indirizzava palesemente le redazioni locali, e lo spostamento dell’asse verso Torino e verso gli Agnelli-Elkann, potrà non significare molto per quotidiani come La Stampa o Il Secolo XIX, ma per il resto del gruppo ci saranno cambiamenti, e a livello locale, come potete leggere relativamente a una querelle tra La Pressa e un giornalista della Gazzetta di Modena, sarebbero più che auspicabili, soprattutto per raccontare una realtà che troppo spesso viene facilmente addolcita.

Il gruppo Gedi è un colosso editoriale…

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La riapertura nel pallone (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 22 aprile 2020)

Potrà sembrare assurdo ma la ripresa del campionato di calcio (e sarebbe bello un ripensamento anche dalle parti di basket, volley e altri) per quanto possa non sembrare importante, in realtà lo è molto. Al di là del valore sociale e aggregativo, volente o nolente il tema è proprio economico, ma sarebbe ridicolo assoggettarlo allo stipendio di Cristiano Ronaldo e compagnia calciante. Il fatto è che una ripresa della Serie A, equivale a un tentativo di ripresa dell’intera filiera sportiva, laddove, ed è una notizia dalla Gazzetta di Modena di oggi, lo sport di base rischia di rimanere più che azzoppato dalla crisi Covid-19. Parliamoci chiaro, non si tratta solo dell’importanza di un campionato di milionari, confrontato alla mancanza grave di sostegno all’economia italiana da parte del governo. Perché se è vero che Juventus e Milan non hanno certamente bisogno di aiuti statali e al massimo dovranno ridimensionare le ambizioni, la squadra del quartiere periferico di una città qualunque, potrebbe non riprendere nemmeno, con tanto di sogni infranti per i più piccoli certo, ma anche un indotto che necessariamente viene a mancare e, sappiatelo, tramite i soldi che il calcio fattura e, conseguentemente, rende allo stato tramite le tasse; lo stesso stato con quei soldi va a finanziare il Coni, che poi distribuisce i fondi alle varie federazioni.

Allo stesso modo quegli introiti, anche fiscali, che partono dal calcio, finiscono parzialmente alle regioni ed ecco spuntare il contributo da 3,5 milioni provenienti dalla regione di cui si è parlato sulla Gazzetta oggi, dedicati allo sport di base. Se i campionati si fermano del tutto, per chi ha pagato di più (leggi alla voce contratti televisivi) sono introiti mancanti dalla pubblicità, e tutto va a cascata. Meno fatturato, meno Pil, meno tasse e meno redistribuzione dallo stato alle regioni anche per lo sport. Quest’anno la regione li stanzia i fondi, l’anno prossimo chissà. Del resto, come in tutte le cose, con questa crisi, si naviga a vista. Lo sport in Italia vale il 3,8% del Pil. Va bene che son solo partite di calcio, ma siamo sicuri che alla fine non sia così importante?

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Il fantasma della mobilità sostenibile (aggiornamenti alla rassegna ad alta quota del 21 aprile 2020)

C’era un intervista interessante sulla Gazzetta di Modena di oggi, con la quale si capisce chiaramente che il Covid-19 ha smantellato ogni idea di mobilità sostenibile. Nell’intervista all’amministratore unico dell’agenzia per la Mobilità di Modena (aMo) Andrea Burzacchini, si capisce chiaramente che il fronte gretino è alla frutta. Vi risparmio la pagina accanto dove si dice che il pensiero ecologico deve diventare un’abitudine quotidiana. Ve lo risparmio perché nell’intervista, il Burzacchini si augura che, per quanto comprensibile, la paura non porti tutti a prendere la macchina anziché i mezzi. Che va detto, a Modena e provincia non sono tutto sto che. Questi pensano a rifare la mobilità quando i servizi extra urbani sono carenti nei piccoli centri, e anche in quelli urbani non brillano particolarmente. Poco prima della pandemia si stava progettando la riqualificazione del “gigetto” il treno che collega Sassuolo e Modena, l’ennesimo progetto dopo che da anni si sta pensando se sopprimere o potenziare una linea che di per sé, se fosse efficiente, ridurrebbe di suo drasticamente il traffico. Ma ora li voglio vedere, mettere i semafori, prenotare le corse e quant’altro, il che vorrebbe dire, semplicemente, aumentare il parco mezzi, perché se non puoi più far stare 30 o 50 persone su un pullman, automaticamente devi metterne a disposizione un’altro. E chi paga? E le strade ai 30 all’ora per invogliare a prendere la bicicletta? Fallo su per la Giardini tra Maranello e Serramazzoni, genio! La verità, è che si dovrà invece prendere atto che sì, sui mezzi non ci si potrà più salire stipati, il che sarebbe anche l’ora; ma soprattutto che i mezzi andranno di corsa in corsa, o almeno una volta al giorno SANIFICATI. Scongiurare il massiccio uso dell’auto, a fronte di una pandemia che, per come è stata trattata, ci ha reso tutti paranoici (e gli abitacoli delle nostre macchine un porto sicuro) è un’utopia buona per i gretini, laddove basterebbe rendere i mezzi pubblici vivibili, senza la paranoia del distanziamento sociale. Il buon senso (guanti e mascherine obbligatori) farà il resto. Meno parole per aria e soldi investiti decentemente.

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