La sceneggiata e la melina

Se qualcuno pensa che la Ronzulli conti veramente qualcosa, non sta guardando né la luna né il dito. Sta guardando un reality.

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Se qualche lettore di questi sporadici post è inciampato nel canale Telegram della Rassegna ad alta Quota, avrà senza dubbio notato che le condivisioni fatte, per lo più sono riconducibili ai così detti canali di area Q-Anons. Poi uno può credere che si tratti di una teoria della cospirazione oppure di un articolato e minuzioso piano incrociato di settori dei servizi segreti internazionali nella lotta di potere tra le logge massoniche, anche queste internazionali.

Ebbene, coloro che capitano nel suddetto canale, vengono poi ricondotti nei canali fonte e, da lì si può dedurre, se uno unisce i puntini, che tutto ciò che ruota intorno al duello Meloni-Berlusconi, altro non è che rumore, teatrino, sceneggiata e melina.

Perché con tutto il rispetto, se parliamo di Giorgia Meloni e Licia Ronzulli, non stiamo parlando di, per fare un esempio di Nilde Iotti e Tina Anselmi, e non perchè le due donne dei nostri tempi siano di destra, ma perché è proprio lo spessore politico che manca. E per inciso, nemmeno la sinistra esprime nomi all’altezza, anzi, non li ha nemmeno di facciata alla faccia delle chiacchiere sulla parità di genere.

Meloni e Ronzulli sono due nomi spendibili e sacrificabili sull’altare di interessi che, allo stato attuale non ci è dato sapere. E mettiamo bene in chiaro che quello che ciò che viene scritto e letto, altro non sono che supposizioni, ragionamenti un tanto al braccio, fantasie, ipotesi.

Perché non è logico che una maggioranza si sbricioli sulla presidenza del Senato e poi si ricompatti su quella della Camera dei Deputati, esprimendo un atlantista (di comodo?) per il primo scranno e un putiniano (pentito?) sul secondo. E non è affatto un caso che l’accordo di pace, o supposto tale tra i due sia avvenuto e annunciato il 17 (e per chi segue il piano Q la data ha un significato preciso).

E le successive scaramucce? Rumore e melina. Stanno prendendo tempo in attesa che gli equilibri internazionali si delineino, a mio parere, soprattutto dopo le elezioni di medio termine negli Stati Uniti che saranno l’8 novembre e che, stando ai bene informati, dovrebbero rendere Biden un’anatra zoppa.

Quindi il Berlusconi redivivo amico di Putin, l’atlantismo sempre di facciata della Meloni, la tecnocrazia che abbandona la nave (ci torneremo sopra) e tutte le polemiche affini che cosa sono? A mio parere teatrino e nulla più. Stiamo assistendo a un reality, perché sotto la facciata ci sono cose che non conosciamo o che conosceremo a suo tempo.

Avrò comunque modo di approfondire alcune supposizioni più avanti.

Nel frattempo non spaventatevi e abbiate fede in Dio.

Steve.

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Come nel 2017, l’ondata Le Pen destinata a infrangersi contro le roccaforti di Macron

In attesa dei risultati elettorali, che saranno noti stasera, vi invito a leggere questo articolo di Loredana Biffo, e pubblicato da Atlantico Quotidiano e sul sito dell’autrice Caratteri Liberi

Di Loredana Biffo –

Nonostante le aspettative – o timori – a seconda dell’entourage politico culturale piuttosto variegato della Francia, nonostante le elezioni d’oltralpe siano considerate da molti come un possibile cambiamento in un’Europa sempre più percepita come potere centralista, è molto probabile che nemmeno questa volta ci sarà una vittoria di Marine Le Pen, o della cosiddetta “Francia profonda”.

I dati del voto francese al primo turno, parlano abbastanza chiaro su quello che è il milieu della Grandeur, piuttosto sfaccettato, ma sostanzialmente macronista . Interessanti e a favore di questa tesi, sono i dati di voto a Parigi, che come è noto ha, anche nelle precedenti elezioni, spostato l’asse destro delle province e in ultimo assestato la vittoria a candidati più aderenti alla gauche. 

I candidati più rilevanti e sotto i riflettori sono Emmanuel Macron, Marine Le Pen, Jean-Luc Melanchon e Eric Zemmour. I dati del voto nei rispettivi arrondissements parigini, danno un Macron che è in ascesa rispetto alle precedenti presidenziali del 2017, con valori fino al 48,47% nel 7°; 47,62% nel 6° (che sono, in particolare il 15° zone di fascia sociale alta), e su questa linea tutti gli altri quartieri, con un’interessante stacco superiore di Melanchon che prende il 38,45% contro il 31,47 di Macron nel 10°; 36,26% contro 32,84 nell’11°; sempre Melanchon con il 41,70 contro il 29,03 di Macron nel 18°; 46,51 contro 28,37 nel 19°; fino al 47,17 di Melanchon e 23,71 di Macron nel 20°. Consideriamo che questi ultimi, sono quartieri in cui la presenza di islamici è molto alta e sommata alle banlieu è in grado di spostare l’asse del voto sia verso il candidato dell’estrema sinistra Melanchon, che verso Macron il cosiddetto “europeista” che proprio per questo ha favorito tutta una serie di politiche a favore dell’alto numero di immigrati o di “francesi islamici” di seconda e terza generazione. 

Per quel che concerne Marine Le Pen (vista come l’estrema destra sovranista) i dati sono nettamente più sfavorevoli rispetto ai candidati di cui abbiamo visto, vanno dal 13% del 1° arrondissement al 5,56 del 20°; perfino più modesti rispetto a Eric Zemmur (intellettuale ebreo con origini algerine), che va dal 7,01% nel 1°, ad un picco di 17,48 nel 16° (dove Le Pen per esempio ha solo il 5,80%). 

Quindi  sebbene la Le Pen mostra una certa sicurezza, i sondaggi l’abbiano data in crescita, grazie anche ad un’impasse più “moderato” rispetto al 2017 nelle precedenti elezioni, rimane probabilmente un personaggio scomodo, per il suo passato politico-familiare, il nome che porta un’eredità pesante rispetto al padre e alla questione dell’antisemitismo atavico della Francia (ricordiamo che è un Paese dove il numero di violenze sugli ebrei da parte islamista è molto alto, così come le fughe delle famiglie ebree sia dai quartieri a maggioranza islamica, sia verso l’estero). Probabilmente il suo partito avrebbe potuto crescere se lei avesse fatto un passo indietro e avesse dato spazio a qualcuno meno coinvolto con questa idea che riporta al passato, per esempio la nipote, Marionne Mareschal, che non  a caso aveva rinunciato al nome Le Pen.

E’ chiaro che queste elezioni hanno una forte valenza non solo per la Francia, ma anche per l’Europa e l’Italia, ma il voto antigovernativo non avrà la meglio sulla macchina infernale del potere che presserà ancora sulla “paura”, ovvero quello che viene configurato come il disastro se vincesse la destra, né il potere internazionale, né quello interno alla nazione permetterà la svolta, perché la Francia non è l’Ungheria, l’Europa non tollererebbe la perdita di una nazione chiave nei rapporti d’affari con il mondo arabo (che tanto fruttano all’economia francese) e l’America dei democratici. 

Esattamente come nelle precedenti presidenziali, i successi della Le Pen a sud e nelle province si frantumeranno contro la roccaforte parigina e delle grandi città. Niente di nuovo quindi, la Francia proseguirà imperterrita la folle corsa verso l’islamizzazione (si stima che nel 2050 sarà a maggioranza islamica) e il potere dell’alta finanza di cui Macron è il figliolo dell’europeismo che non piace ai ceti popolari ma resta l’uomo dell’eurocrazia al potere, che corroborerà la “fasciosfera” del politically correct, è colui – per dirla con Michel Onfray – che più incarna il futuro di Sharia e Transumanesimo della società. La Francia è perduta, ma pure l’Europa e l’Italia non stanno tanto bene.

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