Un minuto prima del silenzio (elettorale)

Il 4 marzo si vota, e questo è un dato. Qui non espliciteremo intenzioni di voto, ma alcune sensazioni pre-elettorali che vedremo la mattina del 5 se saranno confermate.

Al netto di questo fuori onda pare che i grillini faranno man bassa in meridione, si parla di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Sono le più popolose, in Sicilia sono primo partito già dalle scorse regionali, pur non avendo la maggioranza. Può starci, già da tempo si dice che la partita uninominale al sud si giocherà tra cento destra e M5S. E Raffaele Fitto conosce bene il sud.
Tuttavia la partita, dal mio modesto punto di vista di osservatore distratto, potrebbe giocarsi al Nord. Non tanto perché i pentacampeao potrebbero fare un exploit, ma perché potrebbe crollare il PD laddove non te lo aspetti. A leggere gli scenari prospettati dal quotidiano locale La Pressa, qualche sorpresa domenica potrebbe arrivare dalla non più così rossa Emilia Romagna. La Lega qui nel 2014 si è affermata come secondo partito e sul territorio si muove meglio rispetto ai 5 Stelle, forse anche in base a una maggiore esperienza. Gli emiliani a queste cose ci guardano e non è un caso che negli ultimi due anni, comuni importanti della provincia di Modena siano passati dal centro sinistra al centro destra, coi grillini a far più da spettatori che non ago della bilancia. Staremo a vedere, ma il sistema Emilia sta vacillando, e il rosso, anche in virtù da un lato delle guerre intestine (PD vs LEU) e dall’altro di un sistema di potere che si regge ipocritamente (PD+LEU quindi amore e odio e nemici amici) sta sfumando. Non solo in cinquanta versioni.

Quello che è avvenuto in Sicilia a novembre potrebbe quindi ricapitare a livello nazionale in tempi brevissimi, il preludio c’era già. E se ci sarà una maggioranza certa non sarà per meriti dei vincitori, ma demerito dei vinti che perderanno anche quello che non pensavano di poter perdere. Una vittoria per sottrazione insomma.

Non ci è dato sapere se Salvini uscirà leader del centro destra alla fine di questa tornata e quindi sarà incaricato da Mattarella a formare il prossimo governo. La scelta di investire Tajani del ruolo di candidato alla Presidenza del Consiglio da parte di Berlusconi però, più che dare l’impressione di voler imporre una leadership a due giorni dalle elezioni, o di ostentare ottimismo per i risultati che potrebbe ottenere Forza Italia imponendosi nuovamente come primo partito della coalizione; sa più di designazione alla successione alla guida del partito che non un vero e proprio endorsement. Il motivo? Tajani è un forzista della prima ora e, a differenza di altri delfini designati o presunti tali, si è sempre mosso nei ranghi e, di sicuro, infastidirebbe meno di altri, i “colonnelli” storici del partito. Berlusconi, dato che ha 82 anni e sa di non essere immortale, potrebbe aver pensato a lui come gestore della transizione del partito, godendosi così il ruolo di padre fondatore e garantendo un futuro alla sua creatura politica.

Il PD si avvia al disastro ma non è tutta colpa di Renzi. E’ un partito che è lacerato alla base, lo strappo di quella che è diventata LEU ne è una conseguenza: dal 2013, anno della non vittoria alle elezioni, la svolta renziana è stata sì un cambio di leadership al vertice, ma non lo è stata alla base. Cito l’esempio di Modena, che conosco discretamente, laddove l’attuale sindaco era un bersaniano di ferro (fu assessore regionale  nelle varie giunte Errani), e vinse addirittura le primarie (con presunti brogli) contro la candidata in quota Renzi. Eppure ostenta fedeltà allo segretario fiorentino. Lo stesso discorso vale per Bonacini, presidente della Regione Emilia Romagna, che nello stesso anno dell’umiliazione di Bersani, da suo pretoriano divenne luogotenente di Renzi. Il 4 marzo sarà l’ennesima resa dei conti. Ma pure Liberi e Uguali ne uscirà con le ossa rotte.

I Cinque Stelle cercano la conferma dopo lo straordinario risultato di cinque anni fa. Tuttavia su queste pagine pensiamo che, se replicano quel risultato, avranno raggiunto un obiettivo non in linea con le loro aspettative, ma certamente superiore alle loro capacità. Se a sud riscuotono infatti consenso a nord, salvo eccezioni, non sono riusciti a radicarsi sul territorio. La chiave di queste elezioni è proprio questa: vincerà chi è meglio radicato e il radicamento funziona laddove i partiti riescono a crearsi un consenso o a creare un’alternativa. Ora, molte aree del nord sono “fossilizzate” ma la Liguria, prima con la regione e poi col capoluogo ha dimostrato che certe roccaforti non sono eterne. La popolazione ad un certo punto avverte la necessità di un cambiamento, ma anziché rivolgersi al primo che capita, o a chi sbandiera discontinuità e onestà, preferisce chi ha fatto da contraltare per anni magari senza aver mai governato (pur prendendosi accuse di complicità). E all’uninominale questo ha un peso, a differenza del proporzionale dove il voto locale risulta meno evidente e viene “spalmato” su base nazionale.

Queste sono, come anticipato, sensazioni pre-elettorali ricavate da letture dei giornali e da voci di strada, pur se limitate all’Appennino modenese. Lunedì 5 o nei giorni successivi, avremo modo di smontare o confermare quanto scritto qui. Non vi dirò di andare a votare perché in passato anche io non ci sono andato. Se votate, fatelo come se steste guidando: responsabilmente.

Jack

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