Il 2016 pare l’annun horribilis delle rock star. Lasciando perdere David Bowie o Prince, vi dico io che è vero, verissimo, lo confermo. Perché oggi ci ha lasciato la più grande rock star che io abbia mai conosciuto e che non ha niente da invidiare, come condotta di vita, fedina penale a parte (credo) i vari Keith Richards, Vasco Rossi e compagnia cantante. Perché il rocker venuto a mancare oggi è (era) classe 1922 e si è spento a 94 anni, contro ogni pronostico. Sopravvissuto alla povertà dell’appennino modenese negli anni trenta, sopravvissuto alla guerra dove non ha sparato un colpo, lui perennemente inabile (o rivedibile) alla leva, arruolato nel ’41 e tornato nel ’45 dopo essersi visto, Grecia, Jugoslavia (ma in treno di passaggio) e fatto un giro negli stabilimenti vacanzieri tipici dei tedeschi al confine con la Francia. Sopravvissuto quindi ai campi di lavoro. Liberato dagli americani, mal digeriti in realtà, perché inizialmente, al suo ricordo, erano peggio dei tedeschi. E poi ballavano il bughi-bughi (dubito sapesse anche solo che si scrivesse boogie-woogie) e c’erano “quei soldati neri, le donne erano tutte per loro” mi raccontava. A lui quei balli non piacevano. Sì perché il Nostro era un ballerino provetto, i violini in testa fin da giovane, valzer, mazurke e, perché no, anche il tango. Un tanghero de noantri, mica quelli argentini. Però altro che Fred Astaire! A ballare si conquista, mi raccomandava, io che a malapena ho imparato i passi base e, al contrario di lui, ho imparato a suonare almeno uno strumento. Lui che per tutta la sua vita, o quasi, ha costruito ocarine in terracotta, dal suono squillante delle quali andava molto orgoglioso. Ma che fossero intonate, a volte ho avuto dubbi. Il ballo dicevamo. L’immediato dopoguerra in Francia lo ricordava come il periodo più bello della sua vita. Il ritorno in patria, l’occupazione che non si trova poi, un anno dopo, il Belgio, paradiso terrestre, croce e delizia del nostro “eroe”. Prende moglie nel gennaio del ’49 non proprio giovane per quell’epoca, nel ’50 e nel ’51 nascono le sue figlie, entrambe a Charleroi. Quattordici anni di miniera, birre belghe, gare di Triple-Sec che gli saranno fatali e feste di Santa Barbara (protettrice dei minatori). E il tasso alcolico sale.
In prima linea tra i soccorritori nella catastrofe di Marcinelle del ’56, nel ’61 il ritorno in Patria, a Modena dopo che la miniera l’aveva precocemente pensionato per via della silicosi. La previdenza sociale belga non pensava di doverselo accollare per 56 anni!
Partito con una valigia di cartone era tornato con un camion (quanto ho amato questa frase!) una casa di proprietà, la possibilità di ristrutturare la casa dei suoi genitori nella sua amata Olina. Il boom economico vissuto da migrante. Una vita dignitosa come oggi un ventenne non può nemmeno sognare. Perché non aveva nulla da perdere, nemmeno i vizi. Il fumo però lo lasciò perdere dopo un pneuma toracico negli anni ’70, ma il vino e la birra guai! E non si perdeva un ballo! Ho sempre pensato che, se fossi andato a donne con lui avrei preso una paga incredibile, nonostante io fossi di sessant’anni più giovane.
Fino quasi all’età di novant’anni era capace di fare colazione alla contadina con caffè misto vino e pane inzuppato. Però con l’avanzare degli anni lo stomaco reggeva meno un certo stile di vita che ad un certo punto è diventato, sopra le righe. Non che fosse un mangiatore anzi, sempre stato magro come un chiodo e con poco appetito (un calabrese una volta gli consigliò di mangiare un peperoncino prima dei pasti, per poter stimolare l’appetito. Il pasto avrebbe attenuato il bruciore in bocca). Anche se, negli ultimi anni, la tendenza si era invertita. Nonostante dovesse stare attento (quindi niente più vino, niente più caffè, niente brodini, cibo poco graso) l’appetito era quello che non avevamo mai visto. Anche se però stava cambiando. La perdita della moglie fu un duro colpo, un anno dopo rischiò per un’ischemia. Poi il lento inesorabile entrare e uscire dagli ospedali per via di problemi respiratori che andavano complicandosi. Ma sempre aveva evitato, quando non rifiutato, di usare la bombola di ossigeno. Aveva visto amici cari andarsene così, lentamente e inesorabilmente e lui, aveva evitato questo destino. La bombola era un’onta per lui. E ce l’ha fatta fino all’ultimo respiro. Lo scorso autunno un infarto, ma va avanti ancora, altro che Highlander. Da queste parti, si dice avere più culo che giudizio, quando la vita è caratterizzata da circostanze fortunate.
Io da un po’ di anni le chiamo benedizioni. Eri benedetto e non lo sapevi, perché la fede, non sapevi cos’era. Lo chiamavi destino quello che regolava la tua vita, non eri un bestemmiatore accanito, ma forse da qualche parte covavi la fede. Per lo meno lo spero, ti avrebbe dato una grande mano quando eri alle prese con le tue malinconie, non sopportavi la solitudine, la tristezza. Meglio un bicchiere di vino, un giro di valzer… meglio si. Ma oggi c’è stato l’ultimo. L’ultimo giro di valzer di una vita straordinaria che sicuramente hai vissuto fino in fondo. E che non accettavi che ti stesse scappando. Ma la musica ti accompagnerà, Dio ti accompagnerà in questa ultima danza. E sii felice, perché ti ricorderemo così.
Stefano