Scenari elettorali, l’ascesa di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia

di Stefano Bonacorsi per Caratteri Liberi

Tra meno di un anno, se non ci saranno particolari sconvolgimenti, gli italiani torneranno a votare per le elezioni note come “politiche”, che in altri paesi vengono rubricate a generali o legislative. In  soldoni, le elezioni per il Parlamento.

Quasi sicuramente, sarà difficile vedere le compagini che hanno caratterizzato questa infausta diciottesima legislatura, recitare un ruolo da protagonisti, e tanti fattori ce lo stanno mostrando. Fattori che andremo a snocciolare in più tappe, forse con troppo anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, ma dato lo stato attuale del Governo e della maggioranza che lo sostiene, tanto presto non è.

Senza dubbio, protagonista della prossima campagna elettorale e, conseguentemente dello scenario che si andrà a comporre tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, sarà Giorgia Meloni, col suo partito Fratelli d’Italia che è dato in un testa a testa col Partito Democratico nei sondaggi. E’ indubbio che sia l’unico partito che, rispetto alle ultime elezioni, avrà una crescita a dir poco esponenziale, tuttavia ci sono alcuni fattori che non sono da trascurare, che possono trarre in inganno.

Innanzi tutto, Fratelli d’Italia non è un partito anti-establishment. E’ nipote del Movimento Sociale Italiano e, di fatto, figlio di quel matrimonio forzato tra Forza Italia e Alleanza Nazionale (erede del MSI) che fa sì che il mondo che ruota intorno a Meloni e ai suoi, in realtà è protagonista della scena politica italiana per lo meno dal 1994, anno in cui i post-fascisti sono entrati nella stanza dei bottoni. L’eterna paranoia da svolta autoritaria che caratterizza lo scenario politico tricolore, vuole che ci debba essere una destra necessariamente anti-fascista, chiaramente col patentino rilasciato da chi ruota intorno al mondo del Partito Democratico e degli anti fascisti di professione. Alessandro Sallusti, direttore di Libero, ha ammonito più volte Giorgia Meloni e Matteo Salvini di non farsi dettare l’agenda, ma soprattutto i valori di quella che dovrebbe essere la destra italiana, dalla sinistra. 

Pur non avendo fatto questo, nella convention di Milano tenuta a fine aprile, Meloni ha voluto integrare nel panorama di Frateli D’Italia, l’ex magistrato Carlo Nordio (candidato anche al Quirinale da Meloni) Marcello Pera e Giulio Tremonti, entrambi ex di Forza Italia, il secondo anche molto vicino a intese con la Lega all’epoca ancora a guida Bossi. Milano, cuore pulsante del potere economico e della borghesia italiana, lo strizzare l’occhio al centro moderato per poter uscire dal lato destro e non essere solo il vaso comunicate che raccoglie gli esuli forzasti e leghisti.

Ma il processo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia per non rimanere un marginale partito etichettato come nostalgico, è passato anche dall’estero: dopo le europee del 2019, con il movimento già in crescita, è diventata presidente dei conservatori al Parlamento Europeo, segnando un percorso diverso rispetto all’alleato Matteo Salvini, impantanatosi con Marine Le Pen nel sovranismo. Inoltre Meloni è da due anni presenza fissa al Conservative Politica Action Conference negli Stati Uniti. Non è ufficialmente la referente di Trump e del GOP in Italia, tuttavia il suo movimento è quello che si avvicina di più a quel mondo.

Questo ha caratterizzato una svolta atlantista ed europeista, per lo meno relativamente a quello che è lo scenario del conflitto Russia-Ucraina; una svolta che non convince del tutto, perché in passato la stessa Meloni si è dichiarata estimatrice di Vladimir Putin, e poi perché la sua base elettorale non brilla per essere filo atlantica e se lo è, lo fa a corrente alternata. Anche perché ci sarebbe da chiedersi se l’atlantismo ostentato da Giorgia Meloni è quello di Donald Trump, che punta a ridimensionare se non addirittura a smantellare la NATO, o quello di Joe Biden più orientato a ciò che l’alleanza atlantica ha fatto dal 1949 a oggi.

Altro aspetto non irrilevante è che Meloni e i suoi, non sono mai saliti sui carrozzoni di unità nazionale di Monti e Draghi e hanno sempre detto no alle larghe intese, restando fuori dai governi Letta-Renzi-Gentiloni e soprattutto dal sopraccitato governo Draghi e i due governi Conte, nonostante nel primo fosse a un passo dall’ingresso, anche per la presenza dell’alleato leghista. Tuttavia, il tenere il piede in due scarpe, opposizione in parlamento e alleanza nei governi regionali e comunali ha fatto sì che l’opposizione di Fratelli d’Italia risultasse annacquata quando non inconsistente. Se infatti la gestione della pandemia da parte dei governi Conte e Draghi è stata più che discutibile, l’opposizione di fatto non c’è stata. Nessun partito (fatta eccezione per Italexit di Paragone e i fuoriusciti dai cinque stelle di cui ci occuperemo in altri approfondimenti) si è opposto con ferocia al lasciapassare verde e tantomeno si è messo alla testa dei movimenti di protesta più o meno spontanei. Giorgia Meloni si è pertanto opposta a Conte e Draghi. ma si è tenuta alla larga dai lavoratori discriminati, dai movimenti etichettati come no-vax e dal dibattito sull’efficacia dei sieri sperimentali, limitandosi, in campo economico a parlare di sostegni e riaperture in sicurezza.

Il fattore astensionismo poi, il vero protagonista delle ultime tornate elettorali, è il vero avversario di Giorgia Meloni e le sue ambizioni di leadership nazionale. Gli elettori di destra, anziché votare il meno peggio, non votano, mentre gli elettori di sinistra preferiscono schierarsi in massa, pur di non vedere un discendente del MSI  al potere. Più che intercettare i voti dei moderati, Meloni dovrà preoccuparsi di infondere fiducia a quei milioni di italiani che in questi ultimi due anni, non solo si sono allontanati dalla politica, ma si sono addirittura sentiti oltremodo traditi, da un sistema che anziché tutelarli li ha vessati oltre ogni misura.

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Come nel 2017, l’ondata Le Pen destinata a infrangersi contro le roccaforti di Macron

In attesa dei risultati elettorali, che saranno noti stasera, vi invito a leggere questo articolo di Loredana Biffo, e pubblicato da Atlantico Quotidiano e sul sito dell’autrice Caratteri Liberi

Di Loredana Biffo –

Nonostante le aspettative – o timori – a seconda dell’entourage politico culturale piuttosto variegato della Francia, nonostante le elezioni d’oltralpe siano considerate da molti come un possibile cambiamento in un’Europa sempre più percepita come potere centralista, è molto probabile che nemmeno questa volta ci sarà una vittoria di Marine Le Pen, o della cosiddetta “Francia profonda”.

I dati del voto francese al primo turno, parlano abbastanza chiaro su quello che è il milieu della Grandeur, piuttosto sfaccettato, ma sostanzialmente macronista . Interessanti e a favore di questa tesi, sono i dati di voto a Parigi, che come è noto ha, anche nelle precedenti elezioni, spostato l’asse destro delle province e in ultimo assestato la vittoria a candidati più aderenti alla gauche. 

I candidati più rilevanti e sotto i riflettori sono Emmanuel Macron, Marine Le Pen, Jean-Luc Melanchon e Eric Zemmour. I dati del voto nei rispettivi arrondissements parigini, danno un Macron che è in ascesa rispetto alle precedenti presidenziali del 2017, con valori fino al 48,47% nel 7°; 47,62% nel 6° (che sono, in particolare il 15° zone di fascia sociale alta), e su questa linea tutti gli altri quartieri, con un’interessante stacco superiore di Melanchon che prende il 38,45% contro il 31,47 di Macron nel 10°; 36,26% contro 32,84 nell’11°; sempre Melanchon con il 41,70 contro il 29,03 di Macron nel 18°; 46,51 contro 28,37 nel 19°; fino al 47,17 di Melanchon e 23,71 di Macron nel 20°. Consideriamo che questi ultimi, sono quartieri in cui la presenza di islamici è molto alta e sommata alle banlieu è in grado di spostare l’asse del voto sia verso il candidato dell’estrema sinistra Melanchon, che verso Macron il cosiddetto “europeista” che proprio per questo ha favorito tutta una serie di politiche a favore dell’alto numero di immigrati o di “francesi islamici” di seconda e terza generazione. 

Per quel che concerne Marine Le Pen (vista come l’estrema destra sovranista) i dati sono nettamente più sfavorevoli rispetto ai candidati di cui abbiamo visto, vanno dal 13% del 1° arrondissement al 5,56 del 20°; perfino più modesti rispetto a Eric Zemmur (intellettuale ebreo con origini algerine), che va dal 7,01% nel 1°, ad un picco di 17,48 nel 16° (dove Le Pen per esempio ha solo il 5,80%). 

Quindi  sebbene la Le Pen mostra una certa sicurezza, i sondaggi l’abbiano data in crescita, grazie anche ad un’impasse più “moderato” rispetto al 2017 nelle precedenti elezioni, rimane probabilmente un personaggio scomodo, per il suo passato politico-familiare, il nome che porta un’eredità pesante rispetto al padre e alla questione dell’antisemitismo atavico della Francia (ricordiamo che è un Paese dove il numero di violenze sugli ebrei da parte islamista è molto alto, così come le fughe delle famiglie ebree sia dai quartieri a maggioranza islamica, sia verso l’estero). Probabilmente il suo partito avrebbe potuto crescere se lei avesse fatto un passo indietro e avesse dato spazio a qualcuno meno coinvolto con questa idea che riporta al passato, per esempio la nipote, Marionne Mareschal, che non  a caso aveva rinunciato al nome Le Pen.

E’ chiaro che queste elezioni hanno una forte valenza non solo per la Francia, ma anche per l’Europa e l’Italia, ma il voto antigovernativo non avrà la meglio sulla macchina infernale del potere che presserà ancora sulla “paura”, ovvero quello che viene configurato come il disastro se vincesse la destra, né il potere internazionale, né quello interno alla nazione permetterà la svolta, perché la Francia non è l’Ungheria, l’Europa non tollererebbe la perdita di una nazione chiave nei rapporti d’affari con il mondo arabo (che tanto fruttano all’economia francese) e l’America dei democratici. 

Esattamente come nelle precedenti presidenziali, i successi della Le Pen a sud e nelle province si frantumeranno contro la roccaforte parigina e delle grandi città. Niente di nuovo quindi, la Francia proseguirà imperterrita la folle corsa verso l’islamizzazione (si stima che nel 2050 sarà a maggioranza islamica) e il potere dell’alta finanza di cui Macron è il figliolo dell’europeismo che non piace ai ceti popolari ma resta l’uomo dell’eurocrazia al potere, che corroborerà la “fasciosfera” del politically correct, è colui – per dirla con Michel Onfray – che più incarna il futuro di Sharia e Transumanesimo della società. La Francia è perduta, ma pure l’Europa e l’Italia non stanno tanto bene.

I quirinabili e l’incantesimo pandemico

Oggi come ormai saprete tutti, inizia il conclave per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. Nell’attesa di vedere la prima ondata di schede bianche, vi invito a leggere questo articolo uscito sabato su Caratteri Liberi. Buona lettura.

Di Stefano Bonacorsi per Caratteri Liberi

La commedia grottesca per l’elezione del Presidente della Repubblica è ormai alle battute finali. Lunedì incomincia la conta, quella vera, i nomi si sprecano, le alleanze sono le più improbabili, pronostici a farne, sicuramente si sbaglia, favoriti non ce ne sono.

Per chi ha seguito i vari articoli che si sono succeduti su queste pagine, relativamente alla figura del Capo dello Stato, sa che l’inquilino del Quirinale rappresenterebbe in Costituzione l’unità nazionale, ma in realtà rappresenta chi lo ha eletto ed è il vero referente della politica italiana all’estero.

Ragion per cui, ci addentriamo dentro allo scenario dei “quirinabili” e delle prospettive che ne conseguirebbero… [Continua la lettura]

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Perché la successione a Mattarella è un punto cruciale per il futuro del paese

di Stefano Bonacorsi per Caratteri Liberi

L’elezione del Presidente della Repubblica, fin dalla sua fondazione, è il crocevia della politica italiana. Designato in sede di Costituzione come una figura al di sopra delle parti, si tratta in realtà di una figura il cui scopo, il più delle volte, è stato quello di interpretare non tanto il sentimento popolare uscito dalle urne, quanto gli umori delle segreterie di partito, attraverso le rappresentanze parlamentari.

Per com’è concepita, la prima carica dello Stato, non è predisposta per investire un leader naturale come può avvenire per un sindaco o, più di recente, per un presidente di regione (per non scomodare paragoni esteri con Francia o Stati Uniti), tuttavia, non sappiamo se grazie a un equivoco o a una visione di lungo corso dei padri costituenti, il Presidente della Repubblica è sempre più centrale nella politica italiana, vuoi perché il Parlamento, se mai l’ha avuta quella centralità l’ha persa (o meglio l’hanno persa i partiti); vuoi perché in sede di elezioni da almeno due legislature non emerge una maggioranza netta e, quando è emersa si è dissolta strada facendo. Continua a leggere su Caratteri Liberi

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La violenza politica

Articolo di Caratteri Liberi

di Loredana Biffo – 

La violenza politica non è una “deviazione” della politica, bensì il manifestarsi della sua essenza. 

In merito alla “devianza” e all’azione collettiva, sono molto strette le connessioni tra la violenza istituzionale e quella antiistituzionale. La violenza politica si configura in due dimensioni: quella della “forza autorizzata”, ovvero quella voluta dall’autorità come strumento di conservazione o di istituzione di nuovi sistemi e nuovi poteri – i quali ovviamente, non è scontato che siano di per sé buoni e auspicabili – e quella della forza non autorizzata, volta a contestare la legittimità di un sistema.

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I negazionisti sono i giornali

Aggiornamento serale della Rassegna ad alta quota

Il mio articolo uscito su Caratteri Liberi oggi

Dalla finestra d’Appennino su cui vivo, l’orizzonte oggi è stato ricco. Ricco di notizie in quanto ci sono alcune chicche tutte da leggere e che vi segnalo all’istante: Corrado Ocone sul sito di Nicola Porro presenta il suo contributo per la festa del 25 aprile che fa il paio con quello di Franco Marino su Il Detonatore. Per chiudere, la bella riflessione di Cinzia Franchini su La Pressa per un 25 aprile finalmente senza bandiere. Ah, naturalmente cliccate sul link sotto la didascalia per leggere il mio ultimo articolo uscito su Caratteri Liberi.

Venendo invece in tema di dittatura sanitaria, oltre a offrire pure qui la rassegna fotografica delle imbarazzanti se non vergognose prime pagine dei quotidiani locali di oggi…

…segnalo anche una lettera sempre a La Pressa dove l’ex primario del policlinico di Modena, dice chiaro e tondo che è giusto non portare la mascherina all’aperto, alla faccia di chi fa titoli da Pravda sovietica o altri tipi di terrorismo mediatico di cui parlo nel podcast di oggi e che vi invito ad ascoltare.

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Lo spettacolo inguardabile dei menestrelli di regime

Il silenzio del mondo dello spettacolo di fronte al monologo assurdo di Beppe Grillo…

Che strano mondo davvero, quello dello spettacolo in Italia… Eppure gli americani ci avevano messo in guardia col film “L’uomo dell’anno” col compianto Robin Williams nei panni di un comico che diventava, grazie a un voto elettronico fallato, presidente degli Stati Uniti. Sì, ci avevano messo in guardia dalla democrazia telematica e, appunto, dai comici che potevano diventare presidenti.

Eppure nel bel paese, siamo riusciti nell’impresa… [continua a leggere su Caratteri Liberi]

Mercoledì delle ceneri

Rassegna ad alta quota 17 febbraio 2021

Photo by Keenan Constance on Pexels.com

Nel giorno in cui Spotify non condivide direttamente da Anchor il podcast e, soprattutto, nel giorno in cui decido che la registrazione la faccio in mattinata inoltrata per via del fatto che completo la rassegna anche con le newsletter dei giornaloni, combino l’ennesimo pasticcio viaggiando nel tempo e dicendo che oggi è il 17 marzo anziché febbraio. Tant’è. Oggi il governo di SuperMario è alla prova della fiducia e ci sono paginate e paginate di giornali nel merito.

Capitolo segnalazioni: per la cronaca locale due articoli da La Pressa relativi ai rumors delle elezioni in Appennino. Per quello che riguarda invece il panorama nazionale rinvio alle prime pagine dei giornali italiani mentre, per quello internazionale credo ci prenderò gusto, in questa integrazione via blog, a segnalare la sintesi quotidiana da Internazionale.

Non dimenticate di andare a leggere il mio ultimo articolo su Caratteri Liberi, uscito lunedì.

Buon ascolto.

Riflessioni incompetenti di fine mondiale Rassegna ad alta quota

Messi più grande di Maradona? La verità è che negli ultimi 30 anni le finali più belle le ha giocate la Francia. E comunque, se uno guarda per chi giocano i numeri 10 di Argentina e Francia, il mondiale lo ha vinto il Qatar…
  1. Riflessioni incompetenti di fine mondiale
  2. Due paroline su Rave e legalità a doppio senso…
  3. Il fattore M
  4. Un flop che viene da lontano
  5. Dove nasce la mala informazione
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Sproloqui e arresti

Rassegna ad alta quota con sfumature rock…

La rassegna ad alta quota di oggi parte dallo SAD, lo Sproloquio A Distanza di Sandrone, la maschera di Modena che, tradizionalmente, il giovedì grasso (oggi) tiene un discorso (uno sproloquio per l’esattezza) dal balcone del municipio di Modena sparlando di tutti, dalla giunta, al Modena Calcio, alla Ferrari e via dicendo. Essendo vietati gli assembramenti, la (non) notizia è che lo sproloquio oggi verrà fatto in streaming.

Come preannunciato ieri mattina è uscito su Caratteri Liberi un mio articolo su quella che chiamo Prospettiva Draghi. Vi invito a leggerlo, mentre il resto della cronaca di giornata ve lo lascio ascoltare, rinviandovi oggi a questa notizia di puro gossip, dove si apprende che Bruce Springsteen è stato arrestato qualche mese fa per guida in stato di ebbrezza. Spassoso il fatto che la Jeep ha ritirato lo spot del Superbowl con lui alla guida dopo questo episodio. Caro Bruce, dai retta alle tue origini italiane da parte di madre: se ti beccavano da noi, a quest’ora eri come minimo, Ministro dei Trasporti.

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Tre temi

differita notturna della rassegna ad alta quota

Photo by eberhard grossgasteiger on Pexels.com

Che dire, due giorni che questo blog viene aggiornato tardi. Ragion per cui al podcast del mattino si aggiunge un aggiornamento serale, ma al di là delle notizie locali che sono abbastanza serie, e che riguardano un’indagine sul Presidentissimo e un eccellente punto di vista del direttore de La Pressa sul garantismo dichiarato ma, in realtà, a corrente alternata da parte dell’opposizione in regione, non c’è molto altro da aggiungere. Detto ieri che il Tar non ha accolto il ricorso della Lega a Vignola, oggi pare che l’intenzione sia di ricorrere al Consiglio di Stato. Vedremo gli sviluppi, nel frattempo, noi si continua a snobbare la crisi di governo. Non perché non ci appassioni, ma perché effettivamente ci siamo rotti così tanto le scatole, che non ce ne può fregare di meno. E non perché siano tutti uguali, ma perché alla fine, e rimando nuovamente a un mio articolo di qualche settimana fa; a decidere è un monarca, se non assoluto, per lo meno incontrastato.

Vi lasciamo riascoltare la rassegna di stamattina e vi auguriamo buonanotte.

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