se la Merkel ridimensiona anche il pallone (supposizioni di un non calciofilo)

io non so voi, ma a leggere questo articolo leggo un’altra parola: smantellamento. il calcio lo seguo per osmosi, le partite le guardo per caso. l’altra sera ero in un pub dove guardavano Real Madrid- Bayern Monaco e ho visto coi miei occhi come la diplomazia pallonara si muova prima di quella ufficiale. ho assistito a secondo tempo, supplementari e rigori: non ricordavo una partita così brutta dalla finale del mondiale 2006, e soprattutto  non avevo ricordo di aver visto una combine in campo. probabilmente è la prima volta che ne ho percepita una, ma cosa volete mai, uno legge tre libri di Carlo Petrini e non vede più il calcio come prima. e infatti, se agli occhi di un profano quei tempi supplementari parevano giocati da squadre spompe, ai miei (che, beninteso, sono comunque occhi profani) parevano giocati pigramente, da squadre che volevano i rigori. e questo ci può stare, ma di solito accade quando arrivi agli sgoccioli del secondo supplementare, quando un tacito accordo dice “vada per la roulette”, non all’inizio del primo tempo supplementare!
poi Kakà e Ronaldo che tirano rigori identici, Casillas che ne para uno che manco Totti quando sbaja er cucchiaio… sarò malizioso, ma è stata una partita tutt’altro che rocambolesca. è stata ridicola.
fin qui ho fatto un calderone, ma presto arriverò al punto, anzi ci arrivo subito: il Bayern Monaco è squadra tedesca, e attualmente la Germania comanda (sempre più in solitudine) quell’accozzaglia che è l’Unione Europea. Real Madrid e Barcellona sono invece squadre spagnole, la Spagna attualmente è messa peggio dell’Italia (non che questo possa farci gioire) e come l’Italia ha uno stile di vita che non si può più permettere. il calcio un ottimo metro per misurare queste faccende. cosa significa dunque l’eliminazione di Real e Barcellona? la fine di un ciclo (quello di Guardiola)? anche. la fine della supremazia del calcio spagnolo? può darsi. ma io ci leggo smantellamento, fine dei giochi, fine del calcio milionario, ridimensionamento. Guardiola lascia e beato chi si potrà permettere di sostenere il suo ingaggio, di sicuro il suo vice costa meno che qualsiasi altro. vedrete che in estate tanti campioni lasceranno Madrid e Barcellona per ingaggi sì milionari, ma non concentrati in un unica squadra. fine del calcio faraonico, l’Europa non se lo può più permettere. poi può darsi che mi sbagli, dovrei passare più tempo a guardare partite, a leggere la Gazzetta dello sport guardare Sky sport 24 ogni volta che parlano di calcio mercato; ma l’aver letto Gianni Brera nell’adolescenza e aver scoperto Giovanni Arpino di recente, mi han fatto capire che dietro il calcio c’è un mondo, fatto anche di diplomazie mascherate. con buona pace di chi nel calcio ci vede solo uno sport, io mercoledì sera ho visto l’ennesima imposizione della Merkel nelle economie continentali. cosa rappresenta il calcio se non un sistema, una voragine colossale che spende più di quanto incassa (vi ricorda qualcosa)? la vittoria del Bayern Monaco (in casa tra l’altro!) significherà questo e altro se accadrà, se l’incontro di finale non sarà soltanto una partita (assai probabile, in fondo sono dell’idea che l’Inter nel 2008 abbia vinto la Champions perché si giocava a Madrid e perché l’anno dopo Mourinho sarebbe andato ad allenare lì) e sarà un’anticipazione di quello che potrà essere l’europeo di calcio: un trionfo della Germania merkeliana. sbaglio? da non calciofilo ho buone probabilità di sbagliare e alla grande. del resto all’inizio dell’anno avevo pronosticato una vittoria dell’Italia all’europeo sulla scia dell’influenza di Monti. ma dato il peso politico dell’attuale presidente del consiglio e l’importanza sempre più periferica che hanno le nostre squadre di club (sopravvivono Inter e Milan finché hanno soldi, la Juve si blinda nell’autarchia di essere la riserva della Nazionale e non esistono più le squadre medio grandi, basta guardare come andiamo in Europa League e quanti campioni stranieri di buon livello militano nei nostri clubbini anche solo in confronto ai club da media classifica inglesi) penso proprio che mi rimangerò il tutto. poi sarà bello essere sorpresi, magari in positivo, ma purtroppo da tempo so che niente accade per caso. sarò malizioso, ma la vittoria dell’Italia al mondiale 2006 significava riqualificare all’istante agli occhi del mondo la credibilità di un campionato (e del suo giro d’affari, per chi non se lo ricorda era appena esplosa la bomba di calciopoli), così come la vittoria improbabile della Grecia catenacciara nel 2004 altro non fu che una celebrazione della Grecia stessa nell’anno in cui ospitava le olimpiadi. poi non chiedetemi di trovare un significato politico ad ogni mondiale o europeo ogni tanto lo sport è prevalso, ma mai come nei momenti di crisi internazionale il calcio si è rivelato uno strumento di politica e propaganda. e anche quest’anno, vedrete, sarà così.

Stefano Bonacorsi

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resistere oggi

che senso ha oggi la resistenza? non solo quello della memoria che a dirla tutta, rischia di essere una cosa fine a se stessa e fin troppo soggetta a rimaneggiamenti. anche perché è inutile, oltre che ridicolo, paragonare lo stato delle cose di oggi a quello di quasi settant’anni fa. ridicolo paragonare Berlusconi a Mussolini, ridicolo pensare che l’unità nazionale di oggi (che tra l’altro appare minuscola rispetto alla solidarietà nazionale di Moro- Berlinguer, purtroppo stroncata sul nascere) possa essere accostata a quella del Cnl.
oggi resistere è altro, è innanzi tutto essere consapevoli. consapevoli che ci stanno togliendo la terra da sotto i piedi, che Monti è più accostabile a un Badoglio che non a un De Gasperi e questo la dice tutta circa la soluzione di continuità con cui ci stanno portando al baratro. l’attuale maggioranza non è accostabile al Cnl, rispetto al ’43, c’è sì la consapevolezza che le cose stanno andando di male in peggio, ma non c’è quella voglia di riscatto che c’era allora o per lo meno tutte le manovre di oggi, sono nate e rimaste nel palazzo, mentre settant’anni fa, vuoi anche per il fatto che le opposizioni erano al bando, qualcosa dal basso si mosse. la differenza, non piccola, sta tutta qui.
il consumismo e la joie de vivre ci hanno anestetizzati. non c’è ancora una vera e propria consapevolezza della crisi in cui versiamo, o per lo meno non la vogliamo vedere. di conseguenza manca quella spinta necessaria per spodestare questa classe politica, non con gesti violenti o di lotta armata, non siamo idioti visionari per carità; ma col gesto democratico e non violento del rifiuto, del non voto, del non consumare, del mandare veramente in crisi tutto il sistema su cui si regge questo ridicolo teatrino che ci governa.
consapevolezza dunque, come prima arma per resistere. e come arma definitiva per riprenderci in mano il nostro futuro.

Stefano Bonacorsi

il tempo per poterci rammaricare

ce ne sarebbero di cose da raccontare, di quanto è accaduto in questi giorni, potrei raccontare dello splendido matrimonio del fratello n.1 avvenuto sabato, potrei dire di quanto accaduto da febbraio a questa parte con la “tournée” degli Oceanobar non ancora conclusa, potrei parlare di quanto sia una rottura stare in casa con la febbre a fare nulla ma alla fine dedurre che probabilmente avevo bisogno di riposo, e il mio corpo con la sua febbre il riposo se lo è preso. e allora che dire?
beh, posso dire che so che si può arrivare a commuoversi per la felicità (non m’era mai capitato) e, nel giro di neanche ventiquattr’ore rimanere sconvolti da una notizia terribile per la quale non si riesce a farsi una ragione. eppure è andata così. e anche se la notizia in questione non mi colpisce direttamente, ma nemmeno mi sfiora, per via di un legame che da un lato non si è mai creato e dall’altro non è mai stato particolarmente significativo, l’amaro in bocca resta, così come resta un cielo vuoto a cui sputare tutte le tue bestemmie e i tuoi perché. perché lo so che se oggi non avessi avuto ‘sta cazzo di febbre un pianto di tristezza me lo sarei fatto, o mi sarei per lo meno commosso. perché è troppo ingiusto, in primo luogo perché non te lo sai spiegare. ma è andata così e non resta che tenersi stretto un pugno d’aria, aggrapparsi al ricordo più bello che hai perché ci sono momenti in cui ci riveliamo per quello che siamo: impotenti davanti a tutto ciò che la vita comporta, morte compresa. e ci sentiamo indifesi, e vorremmo qualcuno a cui stringerci forte per sentirci sicuri quando sicuri non siamo.
perché sarà anche una frase fatta, ma ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e mai come in questi ultimi tre giorni ho capito che può essere così. e allora ben venga godersi una festa lasciandosi andare alle proprie emozioni, ben venga anche la più stupida ma sentita delle cazzate che uno ha voglia di fare, perché saranno quei ricordi a tenerci vivi quando la vita ci toglierà il sostegno da sotto i piedi un pezzo alla volta. per non pentirci di una vita non vissuta, o non aver detto una cosa importante o non aver abbracciato. sempre ammesso che la vita ci dia il tempo per poterci rammaricare.

Jack

che la porcata sia con voi!

decapitati i vertici leghisti, più per resa dei conti interna che non per i guai giudiziari della ‘ndrina bossiana, le porcate rimangono e sono quelle dell’ABC, che tanto fa rimpiangere il vecchio CAF (anche se, tra correre e scappare…). come emerge da questa notizia è stata fatta la bozza di riforma istituzionale. riduzione numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto e blablabla… questo per intenderci. entrando nello specifico della bozza emergono alcuni particolari non inquietanti, bensì sconfortanti su quello che potrà essere la riforma, ammesso che vada in porto. tralasciando il numero esiguo dei tagli dei parlamentari (si può tranquillamente fare una Camera da 360 deputati e un Senato da 180 senatori sfanculando il voto degli italiani all’estero, che vengano a subirsi direttamente le conseguenze delle loro azioni perdìo), quello che mi lascia perplesso è il processo di formazione delle leggi. a leggersi la bozza dell’articolo 72, non si capisce un benamato. voglio dire, non serviva la scala per capire che una ripartizione delle competenze tra le camere si poteva fare sulla base dell’articolo 117 (cioè la ripartizione tra le materie di competenza esclusiva dello stato, e di materia concorrente stato-regioni). quello che non capisco è la previsione di un criterio di prevalenza in base al quale si sceglie a quale camera destinare il disegno di legge, così come non mi è chiara la previsione di una possibilità che una camera ridiscuta quello che ha fatto l’altra se un terzo dei componenti non ha niente da dire entro 15 giorni dall’approvazione da parte della prima camera. leggetevi la bozza e, se masticate un po’ di diritto pubblico, vi apparirà chiara la contraddizione. quello che voglio dire è, una volta deciso chi si occupa di cosa, affidando alla Camera dei deputati le materie di competenza esclusiva dello stato e al Senato le materie di competenza concorrente Stato- regioni, non è più semplice stabilire una serie di materie comuni tra le camere (tipo la legge di bilancio o le missioni all’estero, oltre alle procedure in seduta comune), e chiarire che laddove non è specificato è competente una camera sola? a che serve la previsione di un eventuale comitato paritetico che decida chi si deve occupare di un determinato disegno di legge? per non parlare della commissione paritetica per le questioni regionali che discute le materie di competenza concorrente. ma dico io, fare in modo che i presidenti di regione godano di diritto di un mandato senatoriale? così facendo si introdurrebbe il rinnovamento parziale del Senato, ma con le funzioni diverse tra le camere non sarebbe un problema, e finalmente si avrebbe una rappresentanza seria delle autonomie locali e soprattutto verrebbero meno i problemi di comunicazione, oltre a garantire una soluzione di continuità nelle materie di competenza concorrente (oltre ad abolire la puttanata della conferenza Stato-Regioni e i gli inutili delegati dei consigli regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica).
poi sarò scemo io, ma più che i poteri del Presidente del consiglio, che con un buon sistema maggioritario basato sul modello francese (e previsto anch’esso dalla Costituzione e non con una legge ordinaria) non necessiterebbero in quanto si avrebbe un parlamento degno di questo nome; avrei aumentato quelli del Presidente della Repubblica. buona l’idea del potere di revoca dei ministri su proposta del capo del governo, ma per me dovrebbe essere esercitato una volta sentiti i presidenti delle camere eliminando lo strumento della fiducia.
mi spiego meglio: in un modello parlamentare come il nostro, il centro della politica è appunto il parlamento. con un sistema maggioritario da cui nascono maggioranze forti o deboli (e non guazzabugli) lo sbocco quasi naturale è che i leader dei partiti o delle coalizioni, diventano capi di governo. personalmente non ho mai capito lo strumento della fiducia, che tra l’altro viene abusato nel momento in cui c’è da decidere nella maniera “o si fa così o tutti a casa” tanto cara anche all’attuale presidente Mari&Monti. preferirei un sistema in cui il Presidente della Repubblica, preso atto di ciò che potremmo chiamare “palese inefficacia dell’azione di governo”(quando le proposte del governo vengono sempre o quasi respinte per intenderci) può, sentiti i presidenti delle camere revocare il governo e conferire un nuovo incarico. più o meno quello che ha fatto Napolitano con Berlusconi, solo che non c’era nessuno strumento costituzionale vero e proprio per farlo (e infatti l’imperatore dimezzato ha rassegnato le dimissioni). lo strumento della fiducia, così com’è nella costituzione è fatto in previsione di un governo non necessariamente politico, nominato in un accordo tra Presidente e parlamento sulla base del risultato elettorale. ma siccome in un paese democratico e normale prevale la politica, la fiducia sarebbe scontata specie con un sistema maggioritario. ed esistendo un organo terzo come il Presidente della Repubblica… ma qui si parla addirittura di un ritorno al proporzionale!
nella bozza non si parla di ampliare i poteri del Presidente della Repubblica anzi, con la scusa del “forte governo” probabilmente si ridurrebbe sempre più a un soprammobile. perché allora non prevedere, nel già previsto potere di nomina dei funzionari dello stato nei casi previsti dalla legge, la nomina dei vertici Rai e delle varie authority, magari specificandolo nella costituzione? così forse le nomine diventerebbero un po’ meno politiche ma soprattutto meno polemiche.
invece no, niente di tutto questo. il processo legislativo, anziché andare verso una semplificazione va verso uno strano bizantinismo, il governo ipoteticamente forte sarebbe sotto il continuo ricatto delle segreterie di partito (ma la chiamano sfiducia costruttiva) e soprattutto, i costi della politica continuerebbero ad essere alti. ma tant’è, a questo siamo e alle porcate ci affezioniamo. con buona pace di chi ci crede ancora.

Stefano Bonacorsi

l’inutilità di una riforma (e un’anticipazione)

ammetto di non averci capito granché sull’eterna trattativa per la riforma del lavoro, non sto capendo cosa ci stia saltando fuori però, da quel poco che mi compete, capisco che stanno aggirando il problema, più o meno come al solito. la faccio breve, anzi meno: come si fa a pianificare una riforma sul lavoro in entrata e in uscita, quando quello che manca è una pianificazione del lavoro stesso? mi spiego: l’Italia, in quanto paese lungimirante, ha lasciato che tutto il suo tessuto industriale venisse smantellato, soprattutto per l’innata tendenza a buttarsi nel piatto quando è ricco e successivamente a disimpegnarsi, mantenendo uno status di conservazione più che di innovazione ed evoluzione. la conseguenza più evidente di questo atteggiamento è l’esportazione all’estero delle attività produttive.
va specificato, io non sono un economista, ma non serve una laurea per capire questo, basta leggere i giornali: da quanto tempo l’Italia è al palo con le politiche industriali, e soprattutto, da quanto tempo i prodotti di italica manifattura non attraggono più? mi si potrà obiettare che c’è un made in Italy che funziona ed è il nostro orgoglio certo, ma quanto incide sul tanto sbandierato PIL? voglio dire, la nostra economia non si basa solo sul Parmigiano Reggiano, la Ferrari, Armani, Dolce e Gabbana e il prosciutto di Parma.
faccio due esempi concreti, il primo è il mio paese, Sestola, che da villaggio di pastori, nell’arco di un secolo (quello scorso) è diventato un paese di maestri di sci. la “perla dell’appennino” la chiamano, ma in realtà è da tempo in decadenza, e il motivo principe è la mancanza di rinnovamento. da quando hanno scoperto la neve come risorsa (cioè dagli anni ’50) hanno avuto diverse stagioni e diversi investimenti nel settore turistico che a tutt’oggi è la prima attività produttiva del paese. impianti di risalita, alberghi, edilizia turistica (seconde case) svariati mini boom economici. ma da anni, per diversi fattori, il clima e la crisi soprattutto, il turismo annaspa, l’amministrazione si inventa iniziative che movimentano tutto l’indotto (un turismo a carattere sportivo anche per l’estate basato sull’utilizzo del palasport e la turnazione di squadre agonistiche) ma che sanno di soluzione tampone. le lungimiranti amministrazioni negli anni hanno perso opportunità perché si costruisse un tessuto economico alternativo al turismo (o complementare) e gli operatori del settore, finché hanno potuto hanno spremuto. oggi il settore annaspa, avrebbe bisogno di rinnovamento, invoca misure dall’amministrazione ma nella scorsa campagna elettorale erano gli assenti tra il pubblico. si sono insomma seduti sugli allori, ma quegli allori sono appassiti. la stagionalità non basta più a mantenere i pochi lavoratori  del territorio, non ci sono alternative e il territorio spopola. in una situazione del genere a che serve una riforma del mercato del lavoro?
esempio numero due, la pallavolo: dal 1989 al 2005 abbiamo avuto la migliore delle rappresentative nazionali all’interno dello sport azzurro, e una delle più temibili e vittoriose al mondo (è mancato solo di vincere l’olimpiade). il tutto però facendo appoggio su una generazione di giocatori straordinari che con un relativo ricambio, hanno saputo assicurare continuità al movimento. ma il punto qual’è? che, come emerge da una recente intervista ad Andrea Lucchetta durante il periodo d’oro (per non dire di platino) della pallavolo italiana (e si parla dei tempi in cui una finale mondiale non di calcio spostava i palinsesti Rai) non sono stati fatti i necessari investimenti per garantire una continuità degna di questo nome. insomma si è spremuto finché si è potuto e il resto è noia.
si potrà obiettare che sono casi singoli e limitati ad un ambito (la pallavolo tra l’altro è uno sport e in quanto tale ha regole sue sulla disciplina del rapporto di lavoro -a proposito di precari!), ma in realtà se espandiamo le nostre vedute, apprendiamo che tutto il sistema italico funziona così. quando qualcosa funziona, si spreme all’impossibile fino ad esaurimento risorse e non si fa (quasi) nulla per rinnovarle. la conseguenza è che ci si trova con un sistema di attività produttive che, quando non viene smantellato o venduto a proprietari stranieri, non sta in piedi neanche a impalarlo e vive di concertazione, di piani industriali approssimativi e contributi statali.
non si pensi però che questa sia un invettiva contro gli imprenditori o i grandi industriali (io stesso sono un lavoratore autonomo con due partite iva), perché anche i sindacati hanno le loro grosse colpe in questo sfacelo, innanzi tutto perché hanno anche loro la tendenza alla conservazione. da come la vedo io, il sindacato ragiona in questi termini: tu imprenditore crei il posto di lavoro e fine delle favole. il lavoro fine a se stesso con buona pace dello sviluppo delle risorse umane.
secondo me invece, il sindacato dovrebbe occuparsi per primo del fatto che i suoi iscritti non abbiano atteggiamenti che possano nuocere alla produzione e di conseguenza alla categoria. in secondo luogo la conservazione del posto di lavoro dovrebbe essere intesa come un rinnovamento dello stesso, quindi il sindacato dovrebbe anch’esso farsi promotore dei rinnovamenti dei piani industriali. sicuramente lo scontro resterebbe, ma sarebbe meno teatrale e più propositivo.
la commedia a cui assistiamo invece, è quella di due categorie, imprenditori e sindacati (con annessi lavoratori) che puntano alla conservazione a qualunque costo, finché c’è posto, finché ci sono risorse. con un simile modo di ragionare e di programmare il futuro (solo sul breve periodo e mai per il lungo) a cosa serve una riforma del mercato del lavoro di cui tra l’altro, non si capisce cosa cambi effettivamente?
in un sistema ragionato, dove i cicli produttivi non sono finalizzati a raccogliere finché ce n’è, ma sono ponderati per un inizio, un apogeo, una parabola discendente, e quindi una nuova ripartenza, le riforme verrebbero di conseguenza, perché sarebbero il naturale sbocco della percezione dei tempi che cambiano, sulla falsariga di ciò che è avvenuto negli anni ’70 col diritto di famiglia (altro che lotte sessantottine, si trattava di un cambiamento percepito!).
invece siamo qui a parlare di tutto e niente. all’estero elogiano Mari&Monti, ma non sto capendo se perché ci sta salvando noi e l’euro, o perché stanno preparando l’invasione neocoloniale. l’impressione che ho è che potremmo finire in un improbabile medioevo, con l’Italia economica divisa tra le grandi imprese straniere e l’Unione Europea come moderno Impero Romano Germanico. nel frattempo aspettiamo cosa dirà la diplomazia pallonara, soprattutto dopo le elezioni in Francia. in base a come si metterà lo scenario politico ci sarà il vincitore del campionato europeo di calcio. ma di questo parleremo un’altra volta…

Stefano Bonacorsi

muri

a volte fatico a spiegarmi i muri
altre volte comprendo il rumore
fatto per tagliare la tensione.
ci sono momenti in cui pensi ecco
adesso è finita
ma poi una commedia restituisce tutto
alla tua patetica certezza.
a volte fatico a capacitarmi della pazienza
nel mio attendere invano
nel parlare in posa
nel sostenere una scenografia ormai logora
con una birra a fare da sipario
risate stanche
e nell’aria una voglia di ripartire
che sa di voglia di dimenticare.

a volte fatico a spiegarmi i muri
eppure sono questi mattoni che mi reggono,
non basta una verniciata per farli apparire nuovi
ma sotto, sono sicuro
hanno solide fondamenta.

J.

un’altra corsa

un’altra corsa, un’altra strada per un giorno di gloria o anche meno eppure sei lì, anche tu un po’ nato per correre, o per rincorrere. sei sul rullo dell’asfalto e poi nel locale, una prova veloce dei volumi e poi l’attesa, fino a quando lo stomaco è chiuso e non c’è nient’altro che una mezz’ora di vita da sudare. e poi si riparte, tempo di una stretta di mano, tempo di cercare gli stessi sguardi che un istante prima erano attenti, tempo di capire che cosa è stato, e di nuovo il rullo dell’asfalto scorre sotto di te, mentre sopra il cielo ti sussurra cose che non pensavi. e c’è un alba il giorno dopo, fatta di quotidianità, in cui tutto ti pare lontano, così rapido e veloce che neanche ti sembra di averlo vissuto. eppure solo poche ore prima calcavi un palco, poche ore dopo giri per un officina. e la tua vita ti pare strana: quasi otto anni di studi, per poi fare altro, una svolta che solo due anni prima neanche immaginavi, e una passione che prende sempre più spazio nella vita quotidiana. e quel senso continuo di irrisolto che non ti molla, neanche quando hai ottenuto quanto di meglio ti potessi aspettare…

Jack
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