La scorsa settimana è circolata sul web una foto e una polemica sulle adozioni alle coppie gay. Non entro nel merito della polemica tra la Meloni e Luxuria, limitandomi a dire che i Fratelli d’Italia mi sanno sempre di fratelli di fascio e Luxuria, come si dice dalle mie parti, non ha colpa: così è e, purtroppo, così ce lo dobbiamo tenere. Se a questo aggiungiamo che gli paghiamo pure il vitalizio da ex deputato ogni tanto, ragione ai pentacampeao del Chavez ligure mi viene da dargliene.
Tuttavia non riesco ad astenermi sul merito della polemica sulle adozioni ai gay, ma prima devo fare una premessa.
Io ho un passato di sinistra militanza nel senso che ho accompagnato i miei studi universitari, tra le altre cose, partecipando attivamente alla vita politica dell’ateneo modenese in formazioni di sinistra movimentista-radicale-radical chic. Il tutto nell’arco di sei anni, dal 2003 al 2009 anno in cui ho lasciato la militanza in attesa che, nel 2010 mi scadesse il mandato rappresentativo nel consiglio di amministrazione dell’università. Ma questa è un’altra storia.
Sta di fatto che non sono stato immune dai dibattiti di ogni tipo e, lo scrivo, tra le cause sostenute c’era anche quella della lotta all’omofobia. Non ho cambiato idee nei confronti degli omosessuali da allora ad oggi e ritengo che la questione di genere non debba essere una discriminante ma, a differenza di più di un lustro fa, non ho più perplessità riguardo alla questione delle coppie di fatto e delle adozioni. Perché se all’epoca coltivavo dubbi e mi dividevo tra permissivismo e scetticismo oggi mi dico serenamente contrario. E già che ci sono faccio cadere, nel mio piccolo, un velo di ipocrisia: la sinistra radical-chic che tanto ostenta l’appoggio alla questione GLBT, è piena di persone che davanti si battono per la causa e dietro fanno le classiche battute e i classici sfottò (quando non fanno di peggio) che oggi rischierebbero di passare per dichiarazioni omofobe. Non a caso la questione è diventata politicamente trasversale e più che liberale è libertaria.
Passiamo alle motivazioni. La prima, quella che farà sicuramente discutere di più e farà salire sugli scudi chi mi conosce, è la mia fede. Da due anni a questa parte mi sono convertito al cristianesimo (si badi bene, non al cattolicesimo) e, stando alla Bibbia, l’omosessualità non rientra nell’ordine delle cose volute da Dio (sia in Deuteronomio che in Apocalisse ci sono riferimenti in merito). Ciò non vuol dire che discrimino o punto il dito, semmai esigo rispetto per quella che è la mia fede. Come io, da persona civile e residente in uno stato democratico rispetto chi non la pensa come me, esigo rispetto per quella che è la mia fede e, preferirei che non ci fossero atteggiamenti, soprattutto da parte dello Stato, che la discriminino. A giustificare questa mia esigenza linko un post da un mio vecchio blog, pubblicato in tempi non sospetti e in cui mi ponevo la domanda su come si sarebbe evoluta la laicità soprattutto in relazione a quelle che sarebbero diventate le rivendicazioni della comunità GLBT, degli immigrati di matrice musulmana e della convivenza di questi col femminismo e i temi di bioetica. L’ho riletto prima di mettermi a scrivere e la domanda è ancora attuale.
A chi, leggendo a proposito della mia fede, vorrà darmi del bigotto e dell’intollerante (e perché no, del fondamentalista) replico invitandolo a guardare verso oriente, là dove spunta la mezzaluna dei jidaisti dell’Isis e paesi limitrofi, ricordando che i già i musulmani così detti moderati, storcono il naso di fronte all’omosessualità, quando non la condannano apertamente e spesso con la morte. Ai sostenitori dell’accoglienza e dell’integrazione, che magari non disdegnano il sostegno ai diritti delle coppie di fatto, ricordo che Islam e omosessualità non sono compatibili. Non voglio fare la Fallaci di turno (o il Magdi Allam per citare casi odierni) ma davanti a queste persone, che già non si pongono problemi a dire che le nostre tradizioni li infastidiscono (o addirittura non le tollerano e scomodano il razzismo), come si permetterebbero di reagire i festaioli da gay pride? Con un corteo? Denunciandoli per omofobia come farebbero con un chierichetto qualsiasi? Vista la normale accondiscendenza degli italiani quando vengono accusati di razzismo, questa scena non me la vorrei proprio perdere. E’ uno dei paradossi del multiculturalismo a cui nessuno mi ha mai risposto e di cui in europa esistono già dei precedenti.
La seconda motivazione è di diritto. Esistono delle regole, delle leggi, che giustamente si adattano anche all’epoca in cui si vive. L’omosessualità ha conosciuto “fortune” alterne a livello di tolleranza, dall’epoca romana fino ai giorni nostri. Oggi un omosessuale può vivere liberamente la propria condizione anche solo rispetto a vent’anni fa. E questo, stando a quanto accaduto nei secoli, è un progresso di civiltà. Il rivendicare però la propria condizione, non legittima ad avere un diritto su misura. Relativamente all’omofobia, io non penso che serva una legge apposta, così come per il femminicidio. Quello che deve cambiare è la testa di chi giudica in sede processuale e soprattutto la cultura dominante. L’omofobia è una semplice discriminazione, così come il femminicidio è, più semplicemente, un assassinio per il quale esiste già una fattispecie nel codice penale. Esiste già un’aggravante per entrambe i casi e si chiama “futili motivi”. Il problema è la cultura di fondo e sbaglia chi dice che serve una fattispecie apposita per tutelare di più donne e omosessuali, perché in questo modo si complicano orrendamente le cose a chi investiga e qui vado per paradossi: un ladro omosessuale che viene fermato e picchiato da un cittadino comune (che magari lo apostrofa pure) può avvalersi dell’aggravante di omofobia per avere uno sconto di pena? Provate a mettere al femminile il caso e avrete la stessa domanda (magari inserendo una discriminazione femminile). Già con la discriminazione razziale (e gli Usa ne sono un drammatico esempio) si rischia parecchio in sede giudiziale; avendo noi giudici inclini a interpretazioni acrobatiche della legge (si leggano a prova di ciò giornali di destra o di sinistra, è un dato di fatto) è un rischio che non ci possiamo permettere.
La motivazione di diritto alla mia contrarietà è ampia e variegata (e per un laico magari è più giustificabile). Ho citato il femminicidio prima, inserendo un altro punto dolente delle questioni di genere in Italia. Ho detto che esiste un problema culturale (la reale considerazione che si ha delle donne e dei gay), il quale è profondo al punto che si inseriscono le quote rosa manco le donne fossero in una riserva indiana e, nonostante questo, continua a mancare un riconoscimento di merito (si veda la questione delle nomine da parte del Governo nella scorsa primavera a capo delle grandi aziende pubbliche: donne nominate presidenti si, amministratori delegati- cioè al posto di comando- no. Si tratta di nomine fatte sul merito o per spot?). La questione femminile nel nostro paese è ancora largamente da risolvere. Oggi abbiamo un’equa divisione nel governo tra uomini e donne, ma trovatemi tra loro, o più in generale tra quelle impegnate in politica oggi, una donna con le capacità e il carisma di una Nilde Iotti. Tutto questo per dire cosa? Che essendo deficitario il fattore culturale e di conseguenza quello meritocratico uno dei “meravigliosi” paradossi a cui ci potremmo trovare di fronte è che un uomo gay e una donna si potrebbero trovare in competizione per un posto diciamo importante, di primo piano e… se viene scelta la donna l’uomo potrebbe far valere il fatto che è stato discriminato in quanto gay e lei favorita in quanto donna e viceversa. In Italia può succedere questo e altro, il paese migliore, per ora, è solo nella testa di Renzi.
Ma la motivazione di diritto va oltre. Come detto un omosessuale oggi non deve nascondersi e, fatti salvi gli episodi di omofobia raccontati nei notiziari, può vivere serenamente la propria condizione. E’ un fatto quindi che si vede riconosciuto ed è pieno titolare di diritti e doveri. Le norme sono fatte per adattarsi nel tempo o per essere modificate quando il contesto le rende obsolete. A loro volta, le situazioni di fatto, se si ripetono nel tempo diventano prima una consuetudine e, spesso, finiscono per avere necessità di una legislazione. Fino a quattro anni fa (prima della mia conversione per intenderci) ero convinto che la legislazione sarebbe arrivata in quanto si sarebbe dovuta regolamentare una consuetudine affermata. E sarei stato sostanzialmente favorevole. Il dubbio però mi assaliva nel momento in cui dibattevo con persone, non necessariamente religiose, di visione opposta. E metabolizzando negli anni, sono arrivato alla conclusione che no, non è necessario l’adattamento della legge alle situazioni di fatto, semmai il contrario.
Giorni fa, a un ricevimento di nozze, una mia amica presente con me, argomentava che a lei, fidanzata da oltre un decennio, il matrimonio non interessava. Il non interesse, per lei come per altri riguarda, oltre che l’aspetto religioso, quello istituzionale e convenzionale. Si tratta di una libera e rispettabile scelta di non regolamentare un rapporto secondo le leggi vigenti. Le coppie eterosessuali che convivono, scelgono consapevolmente di vivere al di fuori di un recinto normativo e questo nulla lo vieta. E’ però criticabile la pretesa di un surrogato normativo che disciplini le convivenze si chiami Pacs, Di.Co, o in altra maniera: il matrimonio, civile o religioso, esiste per stabilire diritti e doveri della coppia. Ha senso inventare un patto civile sulla spinta che (generalizzo) l’amore eterno non esiste? Credete forse che l’esistenza dei Pacs o simili, porti automaticamente al cambiamento delle normative bancarie sui mutui, o che cambino i prezzi delle locazioni a seconda dello stato civile?
Mi si obietterà che le coppie gay non possono godere degli stessi diritti delle coppie sposate, soprattutto in materia di assistenza. A parte che, districandosi nella giungla normativa italiana, pur non essendoci una disciplina specifica, fatta eccezione per la filiazione, le coppie di fatto hanno modo di tutelarsi, e quindi anche quelle gay; rimane il fatto che c’è una scelta consapevole di vivere fuori di un recinto normativo. E anche se l’Unione Europea si muove in direzione dell’uguaglianza di tutti i cittadini (e di conseguenza devono farlo gli stati membri) questa uguaglianza non è percepita allo stesso modo dai cittadini stessi (si vedano le manifestazioni in Francia dello scorso anno). Si tratta di una questione di rispetto: se gli omosessuali fanno parte del tessuto sociale senza discriminanti, questo è già di per sé il raggiungimento di un’uguaglianza perché è sparita una discriminazione. Il non vedersi riconoscere matrimonio e adozioni non è una discriminante poiché questo riconoscimento sarebbe un di più.
Per capire questo occorre arrivare alla motivazione “naturale”. Esulando da ciò che dice la Bibbia in merito, e lasciando perdere certe convinzioni (anche laiche) che ancora la catalogano come malattia; l’omosessualità è una condizione con una sua natura. E la natura della persona omosessuale non si concilia con quella circostante: due uomini che decidono di formare una coppia sanno bene che la natura o l’evoluzione, per il momento, non concederà loro la possibilità di avere figli. La stessa cosa riguarda le coppie di donne e via proseguendo a meno che, la succitata evoluzione, non porti alla possibilità anche per l’uomo della partenogenesi. Se nasci maschio ci muori, a meno di non ricorrere alla chirurgia, se stai in coppia con uno del tuo stesso sesso non puoi fare figli naturalmente a meno di non adottare o di ricorrere alla fecondazione assistita . Gli obiettori alla mia posizione diranno che oggi uno ha la libertà di scegliere a quale genere appartenere, ma quello che mi lascia perplesso è che tra queste persone, ci sono anche gli oppositori agli organismi geneticamente modificati in agricoltura, che vogliono le tutele per mangiare una carne il meno “gonfiata” possibile, eccetera. Allora delle due l’una: vogliamo un ordine naturale delle cose oppure decidiamo cosa è naturale di volta in volta? Qui non parlo dei rischi per i bambini ma di un principio di natura: la condizione di coppia gay non consente secondo una logica scientifico-naturale la filiazione. Un’altra obiezione che può essermi rivolta è: ma perché se le coppie etero non riescono a concepire possono ricorrere all’adozione, le coppie gay invece no? Non si lede un principio di uguaglianza tra cittadini? Può darsi, ma occorre considerare che la coppia etero con l’adozione supplisce ad un handicap (l’incapacità naturale di non procreare) mentre la coppia gay quell’handicap non ce l’ha, di conseguenza il desiderio di genitorialità è viziato, in altre parole è un capriccio.
Poi occorrerebbe approfondire il discorso sulle adozioni in senso lato, di cosa si tratta, quali sono i percorsi da fare, capirne la natura ecc. perché la cosa più importante è la tutela del minore che viene adottato. Così come importante sarebbe evitare che esistessero minori da adottare e cioè combattere la povertà e i disagi sociali che portano all’abbandono e lavorare di fino sulla prevenzione, allo scopo di evitare le gravidanze indesiderate. Anzi, sarebbe senza dubbio la prima cosa da fare, perché questa è la radice del problema alla base del dibattito sulle adozioni. L’occidente, nella deteriorazione dei suoi valori, ha perso anche di vista le cause e gli effetti. Se si combattono povertà e disagio sociale, e si lavora sull’educazione sessuale, ci saranno meno orfanotrofi e soprattutto, meno bambini da adottare o da dare in affidamento. Questo è il vero nocciolo della questione. Il resto, e quindi anche quanto dibattuto in queste righe, è conseguenza delle soluzioni tampone, e quindi il non lavorare a una delle radici del problema. L’altra è l’impossibilità di procreare, condizione che per le coppie etero diventa un dramma e un disagio; mentre per le coppie gay è una condizione consapevole. Tutto il resto è un capriccio.
Stefano Bonacorsi
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