Casualità

Integrazione serale alla rassegna ad alta quota del 2 giugno 2020

A pensar male si fa peccato, diceva quello, ma io non posso farne a meno. E sempre meno mi va giù il politicamente corretto, la solidarietà obbligatoria, lo scambiare una rivolta sociale per una rivolta razziale, il non vedere che ciò che sta succedendo negli Stati Uniti, altro non è che il preludio di quello che accadrà qui da noi. Seattle fu l’anticamera del movimento No Global nel 1999, e nel 2001 ci ritrovammo col G8 di Genova, coi soprusi delle forze dell’ordine certo, ma anche con gente che era venuta a devastare apposta, alla faccia della non violenza degli Agnoletto e dei Casarini.

Capita così di trovarsi pubblicizzata a tutto campo una playlist della multinazionale Spotify dedicata al Black Lives Matter, e non puoi pensare che non possa essere una casualità. E il paradosso, se vi siete andati a leggere quello che ha scritto Davide Cavaliere su Caratteri Liberi, è che questo tipo di organizzazioni normalmente si rifanno al socialismo, ma hanno un dannatissimo bisogno di slogan pubblicitari, di loghi, di icone e tutto quello che serve nella meccanica capitalistica per avere un segno distintivo, come si dice in diritto industriale. Un marchio, come le magliette con Che Guevara sopra.

La cosa pazzesca è che non sai nemmeno se la playlist è azzeccata in sé. Faccio caso che uno dei cantanti selezionati è Kirk Franklin, un predicatore e cantante evangelico, col brano “Revolution”. Ora, il brano è vero, parla di razzismo e fascismo, ma in realtà si basa sulla “revelation” cioè sulla rivelazione dell’apostolo Giovanni, l’Apocalisse. E se uno copia e incolla il testo su Google Translate, scopre che non ha molto del brano da rivolta. Quanto alla musica beh… avete presente Sister Act 2?

Lo stesso si può dire per il brano “Time’s A Wastin” di Erykah Badu, che lì per lì può essere visto come un incitamento per chiunque, ma nulla ha a che fare con un’idea di contestazione. Poi magari sbaglio io. So che Nina Simone (che compare con la canzone di Randy Newman “Baltimore”) è stata un’artista impegnata nella battaglia per i diritti civili degli afroamericani, so che “The revolution Will Not To Be Televised” di Gil Scott-Heron è un brano decisamente politico, ma trovo curioso che manchino canzoni come “Imagine” (che si vede che va di moda solo qualche islamico investe decine di persone in Europa) o “Blowing in the wind”. Forse perché la playlist ha toni decisamente “negri”?

Poi d’accordo “A Change is gonna come” di Sam Cooke è stata una canzone simbolo dei diritti civili, ma a me viene spontaneo l’1+1 che si fa in relazione alla sua morte (uscì postuma), oltre al fatto che all’epoca (1964) negli Usa i problemi razziali erano molto peggiori di oggi. La sostanza è che le rivolte in atto in questi giorni hanno preso a pretesto l’abuso di un poliziotto per dare un movente razzista, laddove di razzismo non c’è nemmeno l’odore.

C’è invece odore di ipocrisia in questa playlist di Spotify, un’accozzaglia di canzoni diverse tra loro per temi e periodi storici, messa lì solo per speculare sul momento, un po’ come han sempre fatto i gruppi “combat”, buoni a cantare per gli operai e poi, coi loro soldi, a girare in limousine. Pecunia non olet, dicevano i latini, l’America brucia, Spotify incassa.

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Rotture

Integrazione alla rassegna ad alta quota del 1 giugno 2020

Probabilmente sbaglierò, ma mi son rotto le scatole di un certo tipo di narrazione. Posto che per trovare notizie di politica estera degne di questo nome, in Italia devi scovarle con il lanternino, la vicenda di #GeorgeFloyd e dei risvolti che sono più sociali che non razziali, sta stufando, non tanto per la questione relativa agli scontri in sé, quanto per la narrativa che l’accompagna. E purtroppo, mi duole dirlo, occorrerebbe che per queste cose si leggessero meno riviste di basket e più riviste di geopolitica. Lo dico a malincuore perché il basket è il mio sport preferito, ma non posso vedere i vari siti che seguo riportare le dichiarazioni di un Michael Jordan, che a suo tempo disse “anche i repubblicani comprano scarpe” ed è la dimostrazione di come i neri si siano potuti imporre grazie al talento, e che oggi dice, dall’alto dei suoi milioni di dollari, che il suo cuore è con la famiglia di Floyd.

Ribadisco un concetto di base: Floyd è morto per un abuso di potere da parte di un poliziotto che forse non andava bene neanche a fare il netturbino. E se vi occorrono notizie su come sia impostata la polizia e il governo del Minnesota, date una letta a questo articolo di Michael Sfaradi.

Ritengo però, al netto della libertà di espressione, che ognuno dovrebbe fare il suo mestiere: Popovich e Kerr gli allenatori, LeBron James il giocatore, Kareem Abdul Jabbar l’all-star in pensione e, soprattutto, i giornalisti italiani dovrebbero smetterla di ambire ad essere Federico Buffa a tutti i costi e occuparsi del Gioco e non della Geopolitica di cui non sanno nulla. L’Nba a oggi risulta essere il paradiso dell’ipocrisia politicamente corretta, quando all’epoca di Jordan era il paradiso del trash talking (guardatevi The Last Dance in modo critico, o fate i fighi solo quando c’è da parlarne bene?) e soprattutto non era quella spocchia benpensante che oggi offre spettacoli circensi per famiglie, ma storie di ghetto. I bad boys vi dicono nulla? Allen Iverson che oggi fa l’impegnato (forse a causa di un conto in banca che langue) ma che al tempo durante una finale passava letteralmente sopra a Tyron Lue vi sembra qualcosa di immaginabile oggi?

E’ facile parlare seduti sopra i propri conti correnti milionari, sapendo che la protesta sociale non invaderà i vostri villoni sulla west coast. E’ facile schierarsi contro Trump che può piacere o non piacere, ma non è responsabile dell’omicidio Floyd e dal suo essere un buzzurro, altro non è che uno che parla all’America profonda, quella che i neri più milionari che integrati, si sono dimenticati.

Poi ci sta che si prenda posizione. E voglio dire una volta di più che noi, dalle nostre case di provincia, da lettori distratti di Tex Willer, emulatori di spaghetti western, sognatori da “On the road” senza averlo mai finito di leggere, non abbiamo la più pallida idea di che cosa sia l’America, di che cosa siano gli Stati Uniti, di che cosa ci sia veramente di là dall’oceano. L’America può assomigliare a una puntata di Law & Order ma non a una di Sex & the City. Diversamente avremmo serie tv e film ambientati nel Colorado o nell’Iowa, stato che sentiamo nominare solo quando cominciano le primarie democratiche. Lì si che avremmo forse una maggiore idea di che cosa possa significare. Ma finché ci fermeremo ai dischi di Springsteen, a cantare “Sweet Home Alabama” senza capirne il vero significato e a credere che il conflitto razziale sia solo Muhammad Alì che non vuole andare in Viet Nam, cari miei, siamo lontani un bel pezzo.

Evitate letture distorte. Meno tweet di LeBron (con tutto il rispetto) e un po’ più di Federico Rampini.

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Aisha (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 11 maggio 2020)

La vicenda di Silvia Aisha Romano, mi ha lasciato molto perplesso. Perplesso per il trattamento mediatico, perplesso per la passerella del Governo, perplesso per le reazioni da tifoseria che sono passate sopra il dramma di un rapimento di una donna, da parte di terroristi islamici e tutte le conseguenze del caso. Va detto a onor del vero che l’unico politico che si è sempre speso per Silvia Romano, è stato Giuseppe Civati, tutti gli altri se n’erano scordati. Così come va detto che abbiamo visto gli hastag con scritto #veritapergiulioregeni o #bringbackourgirls, ma per Silvia Romano c’è stata relativamente poca pubblicità. Forse un po’ adesso è nell’occhio dei media perché questa presunta conversione libera, fa rima con il decadimento dell’occidente viziato che tanto piace ai sinistrati. In pochi si stracciano le vesti per i quattro milioni finiti nelle casse di Al Shabaab, laddove anni fa, ricordo chi si irritava per il minuto di silenzio per i militari morti a Nassirya o irrideva la morte di Fabrizio Quattrocchi. Alla fine della fiera torna sempre la politica, tutta italiana, della moglie americana e dell’amante araba, l’Italia in questo strano scacchiere geopolitico aveva una sua centralità nello scenario mediterraneo, anche se pesantemente doppiogiochista, basti pensare al caso di Sigonella, gli alleati Usa da un lato, un terrorista palestinese dall’altro e il Governo italiano schierato dalla parte di quest’ultimo. Solo che adesso, come si legge su Atlantico Quotidiano, pare che pure nel Mediterraneo stiamo sempre più perdendo centralità, dopo un’azione dove le nostre forze di intelligence non hanno particolarmente brillato. L’unico consiglio di lettura che mi sento di dare, in questa riflessione senza titolo, è l’articolo scritto da un altro sequestrato da banditi islamici, Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa. La sua è la riflessione che mi pare sia più opportuno leggere, in quanto sa perfettamente di cosa si parla, quando si parla di rapimento.

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Conteniamo moltitudini (aggiornamenti alla rassegna ad alta quota del 19 aprile 2020)

Mentre noi abbiamo i menestrelli improvvisati in improbabili slanci patriottici dal balcone a stordirci con “Bella Ciao”, dall’altra parte del mondo un premio Nobel degno di questo titolo ancora una volta incanta. Eh sì che anche noi conteniamo moltitudini, e in questi giorni come non mai siamo pieni di virologi non tanto da bar, che son chiusi, ma da social, da non confondere coi coronainfluencer che una ne dicono e cento ne contraddicono. Conteniamo moltitudini di esperti non si capisce di cosa, e nel frattempo conteniamo moltitudini di paure. Paura di mettere il naso fuori di casa, paura del contagio, paura del fine mai, paura del riaprire mai.
E intanto in altre parti del mondo si continua a mentire, perché esistono moltitudini di bugie. Quelle dell’Oms che non dice nulla sui contagi in Siria e quelle del regime iraniano sulla loro realtà interna. Gli aggiornamenti di stasera sono questi e vi rimando al Blog di Barbara per il primo e a Caratteri Liberi per il secondo. Perché siccome conteniamo moltitudini, c’è una moltitudine di notizie anche fuori dal Frignano, che a volte è bene focalizzarsi su un paio, lontane magari, ma allo stesso tempo vicine. Del resto, pure io sono un uomo contraddittorio, sono un uomo di molti umori, contengo moltitudini.





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Rassegna ad alta quota del 10 aprile 2020

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Dunque, in attesa di capire cosa ci sarà tra quel poco che riaprirà, facciamo il punto della situazione e mi scuso se lo faccio sempre più tardi, ma aspetto sempre di sfogliare le newsletter serali e la politica estera; e poi se Giuseppi fosse puntuale avrei meno problemi. Pertanto cominciamo dagli aggiornamenti da Modena e provincia con un comunicato di Cinzia Franchini, qui in veste di portavoce dell’associazione di trasportatori Ruote Libere. Sulla home de La Pressa trovate anche la notizia con Winston Giuseppi De Gaulle che fa il comunicato e attacca sterilmente l’opposizione sul Mes. E proprio sui fatti dell’eurogruppo segnalo un articolo uscito stamani a firma Franco Bechis su Il Tempo. Per le decisioni di Giuseppi vi rimando a Il Sole 24 Ore che è abbastanza chiaro, il resto è noia sul bar social di Facebook. Ah no, dimeticavo: leggetevi Outlook di Federico Rampini, che è sempre un buon leggere. Domani spero di averci capito qualcosa di più. Ci vediamo alle 14 e 30, ma se c’è #magliestrette ci saremo dopo. Buonanotte a tutti.

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Rassegna ad alta quota del 8 aprile 2020

ultima cena

Secondo il calendario ebraico la festività della Pasqua inizia questa sera, per gli ebrei il “passare oltre” ricorda il passaggio dalla schiavitù in Egitto alla terra promessa (capito Giuseppi?) per i cristiani invece si tratta ricordare la resurrezione di Gesù. Va detto però che convenzionalmente l’ultima cena, viene posta al giovedì che nelle festività cattoliche è il Giovedì Santo, probabilmente perché, stando alle Scritture, la crocifissione avvenne di venerdì. Infatti prima di andare al sepolcro aspettarono un giorno perché osservarono il sabato (e gli ebrei, tradizionalmente il sabato si riposano totalmente!). Questo pistolotto per dirvi che nella famosa ultima cena Gesù coi discepoli festeggiò la pasqua ebraica che cade, secondo il calendario ebraico (che è lunare) il 14 giorno del mese di Nisam cioè oggi. Se facessimo un parallelo col calendario ebraico, festeggeremo la nostra pasqua sabato, anziché domenica, e ogni anno l’avremmo in un giorno diverso. Tutto questo per dirvi (con largo anticipo sulle convenzioni) Buona Pasqua!!

Passiamo ai fatti di oggi. Vi segnalo un articolo di Der Spiegel, che definirei filo europeista, o meglio, intento a proporre quello che potrebbe essere un salvataggio di quel che resta dell’UE. L’articolo è tradotto in italiano, per cui tranquilli. Ve lo faccio leggere assieme a questa riflessione su Boris Johnson che ho trovato sul sito Liberalismo Gobettiano. Poi, segnalo da La Pressa i provvedimenti della regione Emilia Romagna a sostegno del settore medico e imprenditoriale. Cito anche la figura di palta del ministro Azzolina nel confronto stato-regioni sulla scuola. L’articolo è di Repubblica, così non dite che posto solo articoli di giornali anti governativi. Come promesso metto anche l’approfondimento sulla potenza di fuocodal sito di Nicola Porro e, infine, per continuare a tenere il punto sulle strutture per anziani un video di Sarina Biraghi sul sito de La Verità. Buon ascolto, buone letture e buona notte.

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La svolta unitaria di Israele

israele

Mentre in Italia il Covid-19 palesa ogni giorno di più l’inconsistenza di Conte, l’ovvietà di Mattarella e il desiderio di buona parte dell’opinione pubblica di un cambio di passo (targato Draghi?) in Israele la pandemia ha portato a sotterrare l’ascia di guerra dopo tre elezioni nell’arco di un anno. Elezioni che a noi europei sono superficialmente apparse come un tutti contro Netanyahu, ma che invece, per chi non legge solo gli articoli di Haaretz tradotti da Internazionale, sono state in questo periodo qualcosa di più. Ne abbiamo parlato con Rebecca Mieli, direttrice dell’ufficio israeliano di Italia Atlantica… [continua a leggere su Caratteri Liberi]

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