Musica e coronavirus: la Flos Frugis di Fiorano scalpita per ripartire (integrazione alla rassegna ad alta quota del 16 maggio 2020)

Cominciamo oggi un nuovo viaggio, esplorando le attività musicali di base come le bande, importanti patrimoni culturali e aggregativi, molto spesso punto di partenza per chi poi intraprende una carriera artistica. Anche queste realtà sono state duramente colpite dall’emergenza Covid-19. Cominciamo il nostro percorso con una delle bande più “giovani” sul territorio modenese, la banda Flos Frugi di Fiorano, in un dialogo col presidente dell’Associazione Nino Rota, nonché componente della banda Maurizio Bardini… [l’aggiornamento di oggi continua su La Pressa]

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Shake you money maker (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 6 maggio 2020)

Colpevolmente oggi non ho fatto segnalazioni da La Pressa, ma va detto, nella forma che sta prendendo la nostra rassegna, e cioè la voce non solo dell’Appennino, ma della provincia in generale. Del resto, con già tutte le belle e approfondite rassegne che ci sono tra i vari network, che senso ha parlare di cose di cui parlano tutti? In fondo anche parlare della provincia più remota, è un modo per interpretare il mondo.

Vi rimando dunque alla testata con cui collaboro, per un pezzo di economia che verte sul tema dei prestiti a garanzia statale per le piccole imprese. I dati nel modenese sono deprimenti, ma ad esserlo è la coltre di burocrazia sotto cui hanno sepolto questi provvedimenti.

Oggi poi non vi ho segnalato, o meglio, l’ho fatto solo quando ho letto la prima pagina, l’intervista a Claudio Longhi, direttore artistico di Emilia Romagna Teatri Fondazione sulla Gazzetta di Modena. Verrebbe da dire ben svegliati, anche se si tratta comunque dell’intervista a un pezzo grosso, cioè il direttore del teatro stabile pubblico regionale. Vale a dire il braccio armato della cultura “di regime” perché, sarebbe il caso di dirlo, il mondo spettacolo altro non è che una struttura parastatale, se lo Stato o la Regione, come si suol dire “cacciano i sordi” la filiera funziona (vi ricorda niente il nome Fus, acronimo di Fondo Unico per lo Spettacolo?), ma se manca il supporto pubblico allora sono problemi. E d’accordo che se vengono a mancare i pesci grossi, non mangiano nemmeno i pesci piccoli, ma direi che ormai sia il caso di cominciare a ripensare tutta la filiera: detassazione, più iniziativa privata, meno vincoli burocratici per gli spettacoli dal vivo, riqualificazione delle strutture e, soprattutto, creazione di strutture polivalenti, riconoscimento professionale, flat tax per gli operatori del settore al di sotto di una certa soglia di introiti e ammortizzatori sociali. Lo so che sto insistendo molto su questo tasto, ma esiste una moltitudine di professionisti, alla base di questo settore, che sono senza tutele e impossibilitati a fare qualsiasi cosa al di fuori dello streaming. La musica, il teatro e l’arte in generale, non si possono fare in modalità smart working.

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duole dirlo, ma gli sforzi fatti, meriterebbero un obolo

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Dove eravamo rimasti (integrazione alla rassegna ad alta quota del 5 maggio 2020)

La rassegna di oggi, per ragioni sclero, tecnico, lavorative è stata veloce e non approfondita come avrei voluto, anche se sufficientemente sintetica. Si può fare di meglio? Certo che sì, ma ci dobbiamo perfezionare, occorre trovare un compromesso tra la sintesi temporale e l’approfondimento argomentativo. Che paroloni! Veniamo a noi…

Appennino: la notizia più rilevante (e che approfondiremo nei prossimi giorni in maniera più ampia e nelle sedi più appropriate) è quella relativa al gruppo Facebook “Montese ti aspetta” con più di 3000 iscritti e che, proprio per il fatto di puntare sulla promozione del territorio, mostra come da un male come il Covid-19 ne stia nascendo un bene: in molti comuni montani infatti, in provincia di Modena, si parla di rilancio del turismo di prossimità. C’è solo da augurarsi che si venga a creare un fenomeno strutturale, anziché un una tantum buona per quest’anno e poi chissà.

Pianura e dintorni: da aspetti positivi che possono nascere dalla pandemia a quelli, purtroppo negativi. A Carpi è andata in scena la consegna delle chiavi. L’associazione locale “Carpi c’è” si è detta pronta allo sciopero fiscale, ma il dato che emerge è che, dopo Castelfranco Emilia e Sassuolo, è la terza protesta di rilievo per chi vuole riaprire la propria attività. Bonaccini, sentito da RTL, dice che se continua così la discesa dei contagi, si può valutare un’apertura anticipata rispetto a quella del 18 maggio e anche quelle oltre. Intanto pare che Venturi a fine settimana lascerà l’incarico di commissario regionale.

Cultura: non smetterò di parlarne fino a che non avrò slogato la tastiera del computer. Oggi il tenore sassolese Matteo Macchioni ha rilasciato un’intervista a Gianpaolo Annese sul Resto del Carlino di Modena dove ha suggerito idee per la riapertura dei teatri. Il mondo dello spettacolo, fatta eccezione per gli esemplari di Bella Ciao e i cantanti da I maggio, è letteralmente alla fame. Macchioni ha scritto a Giuseppi e a Franceschini, vedremo se diranno grazie per la lettera o se interverranno diversamente. Intanto le proteste degli addetti del settore, lontano dalle telecamere e dai circuiti di regime, continuano. Sui social, gli unici teatri rimasti dove possono esibirsi. Ma si esibiscono in silenzio, perché non hanno voce.

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Lo stato dell’arte (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 29 aprile 2020)

Sorprende, ma fino ad un certo punto, il discorso di Lucia Borgonzoni di oggi in Senato. Posto che, a mio modesto parere, sarebbe dovuta restare all’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna a guidare l’opposizione e a far crescere la classe dirigente del suo partito nella sua regione; mi è finalmente chiaro perché Salvini ha insistito perché restasse al Senato, come referente per i beni culturali: perché è competente in materia.

E quello che sorprende, è che un discorso del genere, sulla cultura, ma soprattutto sulla cultura come lavoro e non come passatempo per borghesi sinistri e annoiati, non l’ho mai sentito fare nemmeno quando, da studente militante a sinistra, ogni qual volta che c’era un taglio alla cultura ci si stracciava le vesti? E sapete perché? Perché quando a sinistra si parla di cultura, si parla di quella funzionale ai suoi bisogni, i concerti da feste dell’Unità, i film da festival del cinema indipendente o sedicente tale, la musica impegnata, la satira ma solo da una parte, i fumetti militanti, i quadri che raffigurino sempre e comunque il quarto stato.

Oggi la Borgonzoni, che magari non lascerà un segno nella storia, in un discorso di poco più di sei minuti, ha comuque snocciolato il tema riguardante i fondi alla cultura, dimenticata da tutti, e di cui non sentirete parlare al concerto del I maggio. E lo ha fatto da destra, la tanto odiata destra che a sentire gli intellò, è piena solo di ignoranti e che fino ad oggi ha avuto Sgarbi come portavoce della cultura ma, bontà sua, trincerato dietro al suo carattere istrionico e selvaggio. Quella destra tanto bistrattata quando Tremonti diceva che con la cultura non si mangia, quella destra per la quale non è ammessa intelligenza, perché kome dikono i kompagni la kultura è di sinistra!

Ecco compagni, vi siete lasciati portar via un altro tema, dopo il pane vi hanno fottuto le rose! E ben vi sta, a cullarvi nella vostra autoreferenzialità. La cultura è un lavoro, la cultura dà lavoro, con la cultura si mangia, e non solo se si ha la tessera di partito. Ma non imparerete questa lezione, fino a quando penserete di avere ancora a disposizione l’egemonia culturale di questo paese. L’intervento della Borgonzoni, dimostra che anche questa sta scricchiolando pericolosamente.

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The show must go on? (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 27 aprile 2020)

Leggo da alcuni giorni lo sconforto che ha preso ad alcuni “amici” su Facebook, professionisti dello spettacolo o, come il sottoscritto, semplici amatori volontari, che fanno musica per scopo aggregativo in quanto suonatori di banda. Lo sconforto è che Giuseppi si è scordato di loro e di noi. Dei professionisti e dei volontari. Di gente che comunque il pil lo fa girare e lo crea. La prossima volta che sento dire che l’Italia è il paese della cultura metto mano alla pistola. E’ notizia di oggi che purtroppo hanno trovato il modo di fare quella baracconata insopportabile, seconda solo a Sanremo perché fortunatamente dura un giorno soltanto, del concertone del I maggio. Il concerto dei sindacati dove, a mia memoria, non ho mai, mai, mai e ripeto mai sentito un solo appello per i precari della musica, i disoccupati, i sottoccupati, i musicisti sanremesi pagati 50 euro al giorno, i tecnici di palco, i fonici, i manovali che montano, smontano (e talvolta muoiono, vero Jovanotti?) quelle megastrutture buone per quelle messe laiche del rock, autoreferenziali, con pubblico di pecoroni al seguito adorante e insopportabile.

In questi giorni abbiamo celebrato le nuove canzoni di Bob Dylan e parlato di quanto spaccano gli Stones dai loro salotti di lusso. Abbiamo visto i Modena City Ramblers fare le maratone Facebook per il 25 aprile ma loro, che sono così compañeros, loro che “non c’è I maggio senza Bella Ciao”, loro accidentaccio che sono pure uno dei miei gruppi preferiti, li avessi sentiti una volta spendere una parola per i loro colleghi più disparati.

Lo stato si è dimenticato di tutti: associazioni culturali, di danza, scuole di musica private, vale a dire le associazioni di chi non è riuscito a entrare nella mangiatoia statale, precari dei teatri e quant’altro. Gli indipendenti veri, non i sedicenti indie da centro sociale, sono alla fame. Quelli che non hanno un giro fuori dalle associazioni stile Lions o Rotary, o che non hanno la tesserina di partito, o anche solo del circolo culturale legato al partito, sono fuori dai giochi.

Molte bande, legate all’indotto delle sagre e ai cerimoniali civili, e che sono il primo approdo musicale soprattutto nei piccoli paesi, quest’anno si sono già viste ridurre il contributo da parte dei comuni di appartenenza, con le molte feste che salteranno mancheranno i sostentamenti minimi e per molte la ripartenza sarà difficile. Idem i cori, spesso legati alla vita di parrocchia, ma coi divieti di assembramento, e le messe vietate, anche qui campa cavallo. Dai professioni non allineati, fino ai dilettanti scalzacani, la cultura è finita nel dimenticatoio. Non che prima ci fossero tutte queste attenzioni, ma almeno tra amici degli amici qualcosa veniva tenuto vivo. E così continuerà ad essere se non ci si rende conto di cosa si sta perdendo in questo periodo. Perché al di fuori di chi riuscirà a entrare in quell’altra mangiatoia che è il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) il rischio è che quando ci sarà da ripartire anche solo con una festa in piazza, anche lì si conteranno i cadaveri.

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