C’è qualcosa che non torna nell’ordinanza che grazie a Dio, allenta finalmente il lockdown, con misure meno stringenti rispetto a quelle del governo.
Tralasciamo il fatto che l’andare oltre all’esecutivo in Emilia-Romagna, seconda regione per contagi e per morti, faccia meno rumore rispetto alla Calabria, regione nella quale l’emergenza è stata più che contenuta, fingiamo per un attimo che la polemica, soprattutto giornalistica, non sia alimentata dai diversi orientamenti politici delle due giunte rispetto al governo centrale…
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Pare che l’opposizione si stia muovendo per una modalità di protesta non violenta, di piazza ma non fisica, senza violare il lockdown ma comunque portando a Palazzo Chigi il dissenso della popolazione nei confronti delle azioni del Presidente del Consiglio Giuseppi Conte. Giorgia Meloni si è già mossa di suo, coi deputati del suo partito, in silenziosa protesta, a distanza sociale e con mascherina, a protestare in Piazza Colonna.
Se posso permettermi, col mio modesto bagaglio di giurista di provincia, un metodo c’è, ed è scritto a chiare lettere sulla nostra Costituzione “la più bella del mondo”. La chiave di tutto è l’articolo 134, quello che definisce le modalità di ricorso alla Corte Costituzionale, quella che abbiamo definito il “Consiglio degli Ayatollah” della nostra Carta… [Continua a leggere su Caratteri Liberi]
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E così in piena pandemia, con tutto ancora da vedere e decidere, la stampa main stream, ma anche quella più legata al pettegolezzo da credito alle presunte spaccature in seno alla Lega, e alle presunte rotture tra Salvini e Meloni. Passi per Dagospia che ne azzecca il giusto, ma che di gossip ci campa, il titolo fuorviante sull’intervista a La Stampa di Giorgia Meloni, con l’intervista che dice tutt’altro da un po’ da fare. Vedremo, lo ripeto, come si strutturerà il gruppo Gedi a livello locale, così quando avremo anche la truppa dei giornali veneti e lombardi che soffieranno sulla presunta scissione Salvini-Zaia, capiremo che di vero c’è poco. Non tanto perché da queste parti si tifi Lega, ma perché più che leggere Dagospia, andrebbe letto Atlantico Quotidiano, nello specifico Paola Sacchi, che spesso sul quella rivista on line, riscopre la storia del partito del Senatur 2.0. Ecco, fatevi una letta di quello anziché dar credito a chi vuol mettere zizzania. Sono due giorni su la Verità di Belpietro si focalizza l’attenzione su chi fomenta la spaccatura tra Giorgetti e Zaia da una parte e Salvini con Borghi e Bagnai dall’altra. E il paradosso è che col fatto che Zaia ha più che ben gestito la situazione in Veneto, allora adesso è diventato rispettabile, quando due mesi fa altro non era che l’ennesimo buzzurro razzista del nord che accusava i cinesi di mangiare topi vivi. Nessuno, guarda un po’, invece fa caso a Bonaccini che di fatto è già leader del Pd nordista (Sala si è un po’ bruciato di sti tempi, ma lo sosterrà) ed è lì lì che tra un pò si sostituirà a Zingaretti, forte dell’essere l’uomo che ha fermato Salvini in Emilia-Romagna, e della stampa che ben si guarda dal sottolineare che ha fatto errori anche lui, che niente hanno da “invidiare” a quelli di Fontana in Lombardia. Tutte chiacchiere? O siamo sempre ai due pesi e due misure del tipo che Fontana ha fatto un disastro in Lombardia ma Bonaccini no e Zaia scalzerà Salvini ma Bonaccini starà al suo posto? C’è un detto, non quello che ho riportato nel titolo, che dice che la lingua batte dove il dente duole. Ebbene, la pandemia copre, oltre alle debolezze del governo, anche le debolezze di chi l’esecutivo lo sostiene. Provate a invertire il canone, si parla della fragilità dell’asse sovranista, della corsa alla leadership leghista… ma nessuno fa caso che Bonaccini studia da statista. Vedremo se il tempo mi darà ragione.
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Leggo da alcuni giorni lo sconforto che ha preso ad alcuni “amici” su Facebook, professionisti dello spettacolo o, come il sottoscritto, semplici amatori volontari, che fanno musica per scopo aggregativo in quanto suonatori di banda. Lo sconforto è che Giuseppi si è scordato di loro e di noi. Dei professionisti e dei volontari. Di gente che comunque il pil lo fa girare e lo crea. La prossima volta che sento dire che l’Italia è il paese della cultura metto mano alla pistola. E’ notizia di oggi che purtroppo hanno trovato il modo di fare quella baracconata insopportabile, seconda solo a Sanremo perché fortunatamente dura un giorno soltanto, del concertone del I maggio. Il concerto dei sindacati dove, a mia memoria, non ho mai, mai, mai e ripeto mai sentito un solo appello per i precari della musica, i disoccupati, i sottoccupati, i musicisti sanremesi pagati 50 euro al giorno, i tecnici di palco, i fonici, i manovali che montano, smontano (e talvolta muoiono, vero Jovanotti?) quelle megastrutture buone per quelle messe laiche del rock, autoreferenziali, con pubblico di pecoroni al seguito adorante e insopportabile.
In questi giorni abbiamo celebrato le nuove canzoni di Bob Dylan e parlato di quanto spaccano gli Stones dai loro salotti di lusso. Abbiamo visto i Modena City Ramblers fare le maratone Facebook per il 25 aprile ma loro, che sono così compañeros, loro che “non c’è I maggio senza Bella Ciao”, loro accidentaccio che sono pure uno dei miei gruppi preferiti, li avessi sentiti una volta spendere una parola per i loro colleghi più disparati.
Lo stato si è dimenticato di tutti: associazioni culturali, di danza, scuole di musica private, vale a dire le associazioni di chi non è riuscito a entrare nella mangiatoia statale, precari dei teatri e quant’altro. Gli indipendenti veri, non i sedicenti indie da centro sociale, sono alla fame. Quelli che non hanno un giro fuori dalle associazioni stile Lions o Rotary, o che non hanno la tesserina di partito, o anche solo del circolo culturale legato al partito, sono fuori dai giochi.
Molte bande, legate all’indotto delle sagre e ai cerimoniali civili, e che sono il primo approdo musicale soprattutto nei piccoli paesi, quest’anno si sono già viste ridurre il contributo da parte dei comuni di appartenenza, con le molte feste che salteranno mancheranno i sostentamenti minimi e per molte la ripartenza sarà difficile. Idem i cori, spesso legati alla vita di parrocchia, ma coi divieti di assembramento, e le messe vietate, anche qui campa cavallo. Dai professioni non allineati, fino ai dilettanti scalzacani, la cultura è finita nel dimenticatoio. Non che prima ci fossero tutte queste attenzioni, ma almeno tra amici degli amici qualcosa veniva tenuto vivo. E così continuerà ad essere se non ci si rende conto di cosa si sta perdendo in questo periodo. Perché al di fuori di chi riuscirà a entrare in quell’altra mangiatoia che è il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) il rischio è che quando ci sarà da ripartire anche solo con una festa in piazza, anche lì si conteranno i cadaveri.
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Ditemi voi se si può fare una conferenza stampa alle otto e venti di una domenica sera dopo aver fatto aspettare l’ennesimo week end senza tra l’altro aver tracciato una linea chiara. Se io domani avessi dovuto riaprire, ma vi sembra logico impararlo con neanche dodici ore di anticipo? E come fa uno a riorganizzare tutta la macchina? Io ho una piccola impresa e non avrei avuto troppe difficoltà. Ma per l’ennesima volta non si è capito nulla. Se dicono che riaprono i cantieri, io che lavoro nell’indotto edilizio faccio un salto sulla sedia, ma se poi nello specifico leggo che saranno solo i cantieri pubblici sul dissesto idrogeologico, forse un paio di brutte parole le dico. Insomma più che fase due si è alla fase uno e mezzo come dicono già in tanti, e di certo c’è che la fase uno è stata gestita bene solo in Veneto. I contagi calano relativamente, a mettere d’accordo i virologi sembra di assistere a un duello tra pisani e livornesi, un reale piano per ripartire non c’è, o meglio, è il classico aiutati che Dio ti aiuta, e allora signori miei, mano alla Bibbia e ripassiamoci i salmi, perché come si cantava in “Luna Rossa” qua non ci sta nisciuno.
L’altra cosa certa è che abbiamo un Presidente del Consiglio che è in odore di autoritarismo, ma nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica, muove un dito. C’è una narrazione unica del virus e della politica, l’opposizione sta scomparendo e la libertà di stampa, ancora per un po’ rimane, poi vedremo se potremo continuarla sui social.
Conte ne ha detta una giusta: se ami l’Italia mantieni la distanza. E’ ora di distanziarsi da questo governo incapace, è ora di chiedere a tutta voce la centralità del Parlamento, è ora di fare la piazza virtuale non per cantare Bella Ciao, ma per far vedere che ci siamo e che non siamo inermi. Prima hanno sottovalutato il virus, poi ci hanno condannato a stare in casa e adesso “ci permettono” di riprendere le nostre attività. Il linguaggio è da Corea del Nord, le modalità di azione sono pressoché fasciste ma i bella ciao pensano che il problema sia Salvini. E ci dobbiamo pure sorbire la lezioncina che questo virus ci insegna quanto è importante la libertà.
C’è qualquadra che non cosa.
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Potrà sembrare assurdo ma la ripresa del campionato di calcio (e sarebbe bello un ripensamento anche dalle parti di basket, volley e altri) per quanto possa non sembrare importante, in realtà lo è molto. Al di là del valore sociale e aggregativo, volente o nolente il tema è proprio economico, ma sarebbe ridicolo assoggettarlo allo stipendio di Cristiano Ronaldo e compagnia calciante. Il fatto è che una ripresa della Serie A, equivale a un tentativo di ripresa dell’intera filiera sportiva, laddove, ed è una notizia dalla Gazzetta di Modena di oggi, lo sport di base rischia di rimanere più che azzoppato dalla crisi Covid-19. Parliamoci chiaro, non si tratta solo dell’importanza di un campionato di milionari, confrontato alla mancanza grave di sostegno all’economia italiana da parte del governo. Perché se è vero che Juventus e Milan non hanno certamente bisogno di aiuti statali e al massimo dovranno ridimensionare le ambizioni, la squadra del quartiere periferico di una città qualunque, potrebbe non riprendere nemmeno, con tanto di sogni infranti per i più piccoli certo, ma anche un indotto che necessariamente viene a mancare e, sappiatelo, tramite i soldi che il calcio fattura e, conseguentemente, rende allo stato tramite le tasse; lo stesso stato con quei soldi va a finanziare il Coni, che poi distribuisce i fondi alle varie federazioni.
Allo stesso modo quegli introiti, anche fiscali, che partono dal calcio, finiscono parzialmente alle regioni ed ecco spuntare il contributo da 3,5 milioni provenienti dalla regione di cui si è parlato sulla Gazzetta oggi, dedicati allo sport di base. Se i campionati si fermano del tutto, per chi ha pagato di più (leggi alla voce contratti televisivi) sono introiti mancanti dalla pubblicità, e tutto va a cascata. Meno fatturato, meno Pil, meno tasse e meno redistribuzione dallo stato alle regioni anche per lo sport. Quest’anno la regione li stanzia i fondi, l’anno prossimo chissà. Del resto, come in tutte le cose, con questa crisi, si naviga a vista. Lo sport in Italia vale il 3,8% del Pil. Va bene che son solo partite di calcio, ma siamo sicuri che alla fine non sia così importante?
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C’era un intervista interessante sulla Gazzetta di Modena di oggi, con la quale si capisce chiaramente che il Covid-19 ha smantellato ogni idea di mobilità sostenibile. Nell’intervista all’amministratore unico dell’agenzia per la Mobilità di Modena (aMo) Andrea Burzacchini, si capisce chiaramente che il fronte gretino è alla frutta. Vi risparmio la pagina accanto dove si dice che il pensiero ecologico deve diventare un’abitudine quotidiana. Ve lo risparmio perché nell’intervista, il Burzacchini si augura che, per quanto comprensibile, la paura non porti tutti a prendere la macchina anziché i mezzi. Che va detto, a Modena e provincia non sono tutto sto che. Questi pensano a rifare la mobilità quando i servizi extra urbani sono carenti nei piccoli centri, e anche in quelli urbani non brillano particolarmente. Poco prima della pandemia si stava progettando la riqualificazione del “gigetto” il treno che collega Sassuolo e Modena, l’ennesimo progetto dopo che da anni si sta pensando se sopprimere o potenziare una linea che di per sé, se fosse efficiente, ridurrebbe di suo drasticamente il traffico. Ma ora li voglio vedere, mettere i semafori, prenotare le corse e quant’altro, il che vorrebbe dire, semplicemente, aumentare il parco mezzi, perché se non puoi più far stare 30 o 50 persone su un pullman, automaticamente devi metterne a disposizione un’altro. E chi paga? E le strade ai 30 all’ora per invogliare a prendere la bicicletta? Fallo su per la Giardini tra Maranello e Serramazzoni, genio! La verità, è che si dovrà invece prendere atto che sì, sui mezzi non ci si potrà più salire stipati, il che sarebbe anche l’ora; ma soprattutto che i mezzi andranno di corsa in corsa, o almeno una volta al giorno SANIFICATI. Scongiurare il massiccio uso dell’auto, a fronte di una pandemia che, per come è stata trattata, ci ha reso tutti paranoici (e gli abitacoli delle nostre macchine un porto sicuro) è un’utopia buona per i gretini, laddove basterebbe rendere i mezzi pubblici vivibili, senza la paranoia del distanziamento sociale. Il buon senso (guanti e mascherine obbligatori) farà il resto. Meno parole per aria e soldi investiti decentemente.
Snoopy ha ragione
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Mentre noi abbiamo i menestrelli improvvisati in improbabili slanci patriottici dal balcone a stordirci con “Bella Ciao”, dall’altra parte del mondo un premio Nobel degno di questo titolo ancora una volta incanta. Eh sì che anche noi conteniamo moltitudini, e in questi giorni come non mai siamo pieni di virologi non tanto da bar, che son chiusi, ma da social, da non confondere coi coronainfluencer che una ne dicono e cento ne contraddicono. Conteniamo moltitudini di esperti non si capisce di cosa, e nel frattempo conteniamo moltitudini di paure. Paura di mettere il naso fuori di casa, paura del contagio, paura del fine mai, paura del riaprire mai. E intanto in altre parti del mondo si continua a mentire, perché esistono moltitudini di bugie. Quelle dell’Oms che non dice nulla sui contagi in Siria e quelle del regime iraniano sulla loro realtà interna. Gli aggiornamenti di stasera sono questi e vi rimando al Blog di Barbara per il primo e a Caratteri Liberi per il secondo. Perché siccome conteniamo moltitudini, c’è una moltitudine di notizie anche fuori dal Frignano, che a volte è bene focalizzarsi su un paio, lontane magari, ma allo stesso tempo vicine. Del resto, pure io sono un uomo contraddittorio, sono un uomo di molti umori, contengo moltitudini.
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Come in un prodotto in serie si son viste la Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Modena e il comune di Modena, senza che ci fossero particolari discrepanze (del resto son tutti dello stesso partito), mettere giù un piano per la ripartenza per le filiere dell’automotive, ceramica e della moda; in pratica mettendo in fila i settori che fanno export e soprattutto Pil regionale. Il tutto attraverso i tavoli provinciali per formulare una proposta a Governo, guardandosi bene però dal far rumore e, lontani dalla polemica politica a differenza di quanto fanno quegli scellerati della Lombardia e del Veneto. Il Politburo, assieme alle corporazioni della regione ha stabilito che la priorità saranno i protocolli di sicurezza e ben vengano per carità, a questi si aggiungeranno anche delle fasi di attacco che ben vengono illustrate in questo video del Presidentissimo.
State pur sicuri che il modello emiliano romagnolo ancora una volta sarà visto come l’eccellenza, al che mancheranno solo i cinegiornali celebrativi, chiaramente non appena riapriranno i cinema. Si perché “I firmatari del Patto hanno condiviso la necessità di assicurare quanto prima un impegno particolare, insieme alle associazioni e ai Tavoli provinciali, per l’implementazione dei protocolli di sicurezza da adottare a favore delle imprese individuali e delle microimprese impegnate nelle attività di supporto alle altre filiere. Uno sforzo rilevante dev’essere dedicato alla ricerca di soluzioni di sicurezza adeguate per i servizi alberghieri e turistico-ricettivi, della ristorazione e dei pubblici esercizi, del wellness, delle strutture sportive, ricreative e culturali, che richiedono standard particolari non solo per i lavoratori ma anche per l’utenza. Per questi ambiti è necessario operare da subito per l’adozione di standard e soluzioni di livello nazionale ed europeo.” (fonte La Pressa).
Quindi, intanto far ripartire quelli che hanno i numeri, ma soprattutto la forza persuasiva per ribadire che gli affari sono affari; farlo nella maniera più conciliante possibile (vedrete, non sentirete una sola parola di Conte contro l’Emilia-Romagna), e soprattutto far pazientare ancora un po’ il tessuto delle piccole e medie imprese, ossatura del sistema emiliano romagnolo, che ripartiranno se saranno parte di una filiera, o quando lo deciderà il Politburo. Per tutto il resto c’è Mastercard.
A corollario segnalo questa intervista di Stefano Parisi (leader del centrodestra nel Lazio) rilasciata a Dagospia
A domani
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Cosa si aggiunge a quello che non si è fatto durante il giorno? Di solito nulla e oggi sono più in ritardo del solito nel proporre aggiornamenti. Ma del resto chi vuole può rivedere lo scazzo che ci ho messo in rassegna oggi con le due interviste al presidente dell’Emilia-Romagna che ho citato. E invero aggiungo pochissimo su quanto ho detto oggi, non ho avuto un granché di tempo, non ho finito di leggere i giornali, non ho approfondito niente per cui vi do la buonanotte, oltre che col video di oggi con le seguenti letture: