Oggi come ormai saprete tutti, inizia il conclave per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. Nell’attesa di vedere la prima ondata di schede bianche, vi invito a leggere questo articolo uscito sabato su Caratteri Liberi. Buona lettura.
Di Stefano Bonacorsi per Caratteri Liberi
La commedia grottesca per l’elezione del Presidente della Repubblica è ormai alle battute finali. Lunedì incomincia la conta, quella vera, i nomi si sprecano, le alleanze sono le più improbabili, pronostici a farne, sicuramente si sbaglia, favoriti non ce ne sono.
Per chi ha seguito i vari articoli che si sono succeduti su queste pagine, relativamente alla figura del Capo dello Stato, sa che l’inquilino del Quirinale rappresenterebbe in Costituzione l’unità nazionale, ma in realtà rappresenta chi lo ha eletto ed è il vero referente della politica italiana all’estero.
Ragion per cui, ci addentriamo dentro allo scenario dei “quirinabili” e delle prospettive che ne conseguirebbero… [Continua la lettura]
Cominciamo col dire una cosa: Davide Venturelli non è un politico anti sistema, né ha un nuovo modo di fare politica. Venturelli è parte del sistema, semmai è un non allineato ma dieci anni di consiglio comunale qualcosa vorranno dire. Ma soprattutto, il neo sindaco di Pavullo, è uno che non si è limitato a sedersi in consiglio comunale, ma lo ha portato fuori dalla sala consiliare, pubblicando gli esiti delle riunioni sui social e, soprattutto, riportando la politica nel territorio. Un vecchio modo di fare politica che, non usando più appare nuovo, così come nuovo appare il suo schema civico, slegato dai partiti dai quali sarà, da oggi in avanti corteggiassimo, e bravo lui se riuscirà a fare il suo lavoro senza apparentarsi strada facendo.
Probabilmente pensavano che gli Italiani avrebbero ingoiato anche il rospo del green pass, ma qualcosa è andato storto. Agli Italiani piace l’uomo forte, si abituano all’autoritarismo ma, come tutte le cose, anche le abitudini possono stufare. E gli Italiani negli ultimi dieci anni si sono abituati nell’ordine a Monti, alle larghe intese di Letta e al nazareno di Renzi, al contratto di Salvini e Di Maio e alle giravolte di Conte. Se Draghi e Speranza non avessero forzato la mano fin da subito, tra impianti di risalita mai riaperti e coprifuoco mai levati, fino ad arrivare all’abominio giuridico del Green Pass, forse gli Italiani si sarebbero sorbiti pure il Lucertolone, per dirla con Max Del Papa. Invece, come dicevamo, qualcosa è andato storto e pazienza se i media di regime se la raccontano, come se gli Italiani ancora si bevessero tutto ciò che passa il convento. Lasciate strepitare Liguori, lasciate basita la Merlino, lasciate Labate ai suoi onanismi col qr code e Mentana ai suo fact chekers che ampliano o restringono il loro grandangolo a piacimento. Fatevi un giro su Telegram, usate il canale di questa rassegna e troverete tutti i collegamenti con chi è stato veramente sul pezzo. Oggi si è aperto un fronte inedito in Italia. Vedremo dove si finirà.
La violenza politica non è una “deviazione” della politica, bensì il manifestarsi della sua essenza.
In merito alla “devianza” e all’azione collettiva, sono molto strette le connessioni tra la violenza istituzionale e quella antiistituzionale. La violenza politica si configura in due dimensioni: quella della “forza autorizzata”, ovvero quella voluta dall’autorità come strumento di conservazione o di istituzione di nuovi sistemi e nuovi poteri – i quali ovviamente, non è scontato che siano di per sé buoni e auspicabili – e quella della forza non autorizzata, volta a contestare la legittimità di un sistema.
Dalla finestra d’Appennino su cui vivo, l’orizzonte oggi è stato ricco. Ricco di notizie in quanto ci sono alcune chicche tutte da leggere e che vi segnalo all’istante: Corrado Ocone sul sito di Nicola Porro presenta il suo contributo per la festa del 25 aprile che fa il paio con quello di Franco Marino su Il Detonatore. Per chiudere, la bella riflessione di Cinzia Franchini su La Pressa per un 25 aprile finalmente senza bandiere. Ah, naturalmente cliccate sul link sotto la didascalia per leggere il mio ultimo articolo uscito su Caratteri Liberi.
Venendo invece in tema di dittatura sanitaria, oltre a offrire pure qui la rassegna fotografica delle imbarazzanti se non vergognose prime pagine dei quotidiani locali di oggi…
…segnalo anche una lettera sempre a La Pressa dove l’ex primario del policlinico di Modena, dice chiaro e tondo che è giusto non portare la mascherina all’aperto, alla faccia di chi fa titoli da Pravda sovietica o altri tipi di terrorismo mediatico di cui parlo nel podcast di oggi e che vi invito ad ascoltare.
Ritorno della rassegna ad alta quota per dire basta alla dittatura sanitaria
Da notare il titolo da Pravda sovietica della Gazzetta di Modena…
Nell’ennesimo cambio di impostazione della Rassegna ad alta quota, oggi mi sono voluto soffermare sui titoloni dei giornali locali per la serie, trovate le differenze. Aspetteremo domani per leggere le cronache di ciò che è stato detto in piazza a Modena oggi. Sì perché oggi a Modena, pubblicizzata pochissimo anche sui social ma tant’è, c’è stato il “No paura day”, etichettato come manifestazione negazionista, quando invece sarebbe solo più opportuno definire gli organizzatori dei “scetticovid”. Sì perché m’è capitato di guardarne qualcuna in differita, come anche di seguire attività di avvocati e medici non allineati con la narrazione che va per la maggiore e nessuno nega l’esistenza del Covid-19, semmai si mettono in dubbio, in maniera lecita, pacifica e non violenta le misure, una più inefficace dell’altra, volte a combattere il virus.
Purtroppo le cronache dirette de La Pressa, e Tele Radio Cremlino, non hanno riportato i contenuti della manifestazione (che provvederò a cercare) ma solo le proteste contro le forze dell’ordine. Tutto questo da il senso di come, anziché dare visibilità a figure che sollevano dubbi sulla efficacia dei provvedimenti dal punti di vista sanitario, magari proponendo modelli alternativi, si preferisca riportare di chi non aveva la mascherina mettendo tutti nello stesso calderone, con buona pace di chi vorrebbe solo informarsi e non vivere sotto una dittatura sanitaria.
Un colpevole errore nella rassegna di oggi, è stato quello di non segnalare la crescita zero nell’anno del Covid, stando a un rapporto della Camera di Commercio di Modena. Tuttavia l’articolo è reperibile sul sito del Resto del Carlino di Modena gratuitamente, quindi ve lo potete leggere a vostro piacimento.
Sul fronte internazionale invece segnaliamo due cose molto interessanti sulla Cina, una dalla Newsletter di Giulio Meotti, giornalista de Il Foglio, l’altra invece della rubrica Outlook di Federico Rampini su Repubblica. Scrive Meotti a proposito della Cina che ha “sconfitto la povertà”:
“Io aspetto invece che il regime cinese ci dia altri numeri. Il numero di persone rinchiuse nei laogai, i “carceri amministrativi”. Se ne stimano 50 milioni. Il numero di persone ora nei campi di lavoro forzato, grazie al quale quel “miracolo” è stato possibile. Se ne stimano 2 milioni. Il numero di bambine cinesi cui il regime ha impedito di nascere quando era in vigore la “politica del figlio unico”. Se ne stimano 30 milioni. Il numero di aborti realizzati nello stesso periodo. Se ne stima 336 milioni. Il numero dei morti delle due grandi repressioni di massa degli ultimi cinquant’anni. La Rivoluzione Culturale e ne stimano 500.000. E di piazza Tiananmen, l’ultima volta in cui il regime è stato sfidato apertamente dai propri cittadini. Se ne stimano 10.000. Il regime cinese è stato bravissimo a compiere un “grande balzo in avanti” economico. E come il primo terribile balzo in avanti di Mao, la strada di questo secondo è lastricata di tante vittime“.
Rampini invece punta l’attenzione sulle divisioni che attraversano il sistema cinese
“[…] Una studiosa americana di origine cinese, Yeling Tan, sta per pubblicare un saggio dedicato proprio a questo: “Disaggregating China, Inc.” È un’analisi in profondità delle divisioni – visibili o più spesso invisibili – che attraversano il sistema cinese. A cominciare dallo stesso partito comunista, solo apparentemente compatto e disciplinato. “I suoi membri – scrive la studiosa – hanno un ampio ventaglio di esperienze e di vedute, dai manager di multinazionali con un’esperienza globale del business, ai funzionari della nomenclatura che studiano i testi di dottrina di Xi Jinping. Sotto il governo centrale ci sono 30 provincie (molte delle quali più grandi dell’Italia, ndr), centinaia di città (una dozzina delle quali hanno una popolazione che supera quelle dell’Olanda e del Belgio), e migliaia di contee. Di conseguenza Pechino fa molta fatica a coordinare, attuare, far rispettare le proprie politiche in tutta la nazione. I governi sub-nazionali hanno ampio margine per gestire le proprie economie. Governatori e sindaci competono fra loro per raggiungere tassi di crescita sempre più alti e spettacolari, e godono di un’autonomia sufficiente per attuare in modo selettivo, interpretare in senso creativo, e perfino rovesciare le direttive di Pechino”. Yeling Tan fa partire la sua analisi dall’ingresso della Cina nella World Trade Organization (Wto, l’Organizzazione del commercio mondiale). Passarono ben 15 anni, un periodo eccezionalmente lungo, dall’inizio di quei negoziati all’esito finale positivo e all’ingresso finale nel dicembre 2001. In tutto quel periodo si scontrarono gruppi d’interesse, correnti di partito, visioni molto diverse e perfino opposte sul futuro della Cina. È importante ricordarlo perché una parte di quei conflitti interni sono in corso tuttora. Quando Pechino cominciò a negoziare, il suo sistema economico era “misto”, con una forte componente statale e una pesante eredità del comunismo. Alcuni settori del partito volevano una liberalizzazione estrema, inseguendo il modello americano. Altri preferivano ispirarsi ai dragoni asiatici come Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore, tutti sistemi economici dove lo Stato ha conservato poteri d’indirizzo, una politica industriale attiva, un ruolo spesso molto efficace anche con l’uso spregiudicato di sussidi pubblici e barriere protezioniste per allevare i campioni nazionali nei settori definiti strategici. Il dibattito fra modelli corrisponde anche a uno scontro fra diversi interessi e settori dell’economia cinese. L’ingresso nel Wto, ricorda Yeling Tan, ha comportato uno sforzo vero, e spesso efficace, per adottare standard internazionali in molti campi, per esempio sui controlli di qualità. La Cina era partita con una fama pessima, da paese del Terzo mondo con costi bassissimi ma prodotti scadenti, inaffidabili. Se è riuscita a diventare la fabbrica del pianeta, e il luogo dove si assemblano molti dei nostri computer, cellulari, pannelli solari, tutto questo non lo si può imputare solo a furto di tecnologie e pirateria. In molti settori la qualità cinese ha fatto passi da gigante, altrimenti Apple non si fiderebbe a produrre lì. Ma sul modello economico da abbracciare ci sono stati cambiamenti e ripensamenti. Nei primi anni dopo l’ingresso nel Wto la Cina si era aperta a tal punto alle importazioni e agli investimenti dall’estero, che nel 2003 in un’indagine fra le aziende americane iscritte alla loro Camera di Commercio di Pechino il 70% dichiarava che le riforme cinesi avevano migliorato molto le loro opportunità. Tre anni dopo, nel 2006, già si verificava un’inflessione verso il pessimismo da parte delle imprese occidentali. Il ruolo dello Stato come vero timoniere dell’economia è stato riscoperto e affermato con forza, anzitutto come conseguenza della crisi del 2008. Quando la crisi dei mutui subprime scoppiata a Wall Street sembrò risucchiare il mondo intero in una spaventosa recessione, tra le grandi economie solo la Cina riuscì ad evitare la decrescita, con una robusta manovra di spesa pubblica (l’equivalente di 580 miliardi di dollari), prevalentemente usando come leve le grandi imprese di Stato e gli enti locali. La salvezza è venuta dal settore pubblico, e da allora i rapporti di forze hanno continuato nella stessa direzione, con un ritorno di potere delle imprese di Stato sotto il controllo diretto del governo. Le aziende pubbliche avevano subito un ridimensionamento dal 2001 al 2008: erano passate dal 40% di tutta l’occupazione al 20% in sette anni. Dal 2008 in poi hanno recuperato importanza e gli attivi del settore pubblico sono raddoppiati nei quattro anni successivi. L’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2012 ha accentuato questa tendenza: in seguito sono gli investimenti delle aziende pubbliche ad aver preso il sopravvento su quelli privati. Il recupero di centralità dello Stato non è solo coronato da successi, però. Un caso interessante che solleva Yeling Tan riguarda l’auto elettrica, settore in cui Xi Jinping punta alla leadership mondiale. Pechino ha dato direttive precise perché l’industria automobilistica cinese faccia un salto di qualità puntando su tecnologie avanzate, aumento della produttività, formazione di una manodopera sempre più qualificata. Ma a livello locale alcuni governi ignorano le direttive dell’autorità centrale, e continuano a inseguire i modelli del passato: la provincia dello Hubei (quella di cui fa parte la città di Wuhan), sede di diverse fabbriche automobilistiche, ha continuato a sostenere l’aumento dei volumi produttivi, a scapito dell’innovazione tecnologica.
Per tutto il resto (del mondo) vi rinvio a Internazionale.
Una cosa che non ho segnalato in rassegna, al di là del fatto di dire che sì, Monsignor Cavalier Sua Maestà Santità eccellenza illustrissima professor Mario Draghi, ha nominato i sottosegretari del suo governo, non ho parlato del ritorno, perché di questo si tratta, di Lucia Borgonzoni al ministero dei beni culturali. Ho pensato però che un meme celebrativo pur sulla falsariga delle meravigliose vignette di Federico Palmaroli potesse essere il modo migliore per farlo.
Più che un Conte Ter comunque, a me ‘sto governo pare un mix di Conte I e II, non particolarmente rapido nelle decisioni e, allo stesso tempo, drammaticamente simile al flemmatico Presidente della Repubblica che lo ha nominato. Ma avrò modo di approfondire. Vi segnalo intanto che il miglior articolo in merito lo ha fatto Il Primato Nazionale.
Relativamente al probabile DPCM vi rinvio ai retroscena de Il Sole 24 Ore che mi pare, al momento il più neutrale tra chiusuristi, aperturisti, filo draghiani e anti salviniani.
Per quello che riguarda gli aggiornamenti locali, vi rinvio a La Pressa, con questo articolo sulle Cra, e dove potete anche trovare gli articoli sulla relazione della Dia di cui parlo nel podcast
Cerchiamo di dare un’impronta diversa a questa rassegna, anche per farla maturare un po’. Quindi sintesi dei giornali locali e delle principali notizie nazionali e internazionali nel podcast, unite ai link nei post di questo blog, in modo da far sì che una cosa integri l’altra. Strada facendo cercheremo d’essere via via più dettagliati nell’indicare le fonti dentro al podcast, nel frattempo oltre alla registrazione vi mettiamo a disposizione alcune cosette che senza dubbio gradirete:
La sintesi delle notizie dal mondo curata da Internazionale
L’ultimo Outlook di Federico Rampini su Repubblica per raccontare meglio i fatti dagli Usa (però i contenuti dovrebbero essere solo per gli abbonati).
Da segnalare inoltre su La Pressa, l’articolo relativo agli interventi sugli argini, e due freschi di questo pomeriggio la deviazione del fiume Panaro per la ricostruzione di Ponte Samone e la bocciatura, più tecnica che politica, da parte del Tar rispetto all’uscita del comune di Mirandola dall’Unione dei comuni Area Nord.