Proviamo uno schema diverso per capire l’illogicità del green pass

Lasciamo stare per un attimo il dibattito scientifico sulla bontà della campagna vaccinale, le cure, i ricoveri e quant’altro. Partiamo invece da un presupposto che non tiene in considerazione nessuno: la libertà di iniziativa economica.
In uno stato che si presuppone liberal democratico, un individuo che apre un’attività economica deve sottostare a determinate regole relative al commercio, alla sicurezza del luogo in cui lavora, al fisco alla concorrenza. Attenzione bene a quest’ultimo punto, ci torneremo a breve.
Se l’imprenditore viola le norme sul fisco, ergo non paga le tasse, lo Stato lo controlla e lo punisce. Stessa cosa se non rispetta le norme in sicurezza sul lavoro, per quello che riguarda la sua sicurezza, quella di chi lavora con lui e degli eventuali avventori. Se poi ha una posizione dominante sul mercato, lo Stato può intervenire per regolamentare tale posizione.
In tutti i casi è lo Stato che fa da controllore, attraverso ispezioni, accertamenti e tutto quanto serve a far sì che uno possa svolgere un’attività economica in piena regola.
Nel momento in cui però, determinate categorie vengono investite dall’obbligo di controllare se i loro clienti, in barba a un regolamento sulla privacy già severissimo di per sé, siano o meno in possesso di una certificazione che attesti l’adesione a un determinato protocollo sanitario (vaccino, tampone, dichiarazione di guarigione), qui si presenta un caso di concorrenza sleale, eterodiretta dall’alto.
Esempio pratico: abbiamo una panetteria e un bar uno affianco all’altro. Il barista deve chiedere il green pass al suo avventore che tutte le mattine va lì a fare colazione, poiché è particolarmente scrupoloso. Alla decima volta che il nostro avventore, che più di una volta ha dimostrato di essere in regola, può darsi che si scocci e che compri le brioches dal panettiere, che magari vende pure il caffè, e decide di far colazione a casa. Non è concorrenza sleale questa?
Allora uno dice: mettiamo il green pass ovunque, così tutti gli esercenti controllano, anche i trasportatori e così via… però c’è un però. In questo modo si trasformano, di fatto, gli esercenti in pubblici ufficiali, perché alla fine, al proprio avventore, si chiede un documento o, detta come va detta, ci si fa i fatti degli altri. E se lo Stato rende pubblici ufficiali gli esercenti, tanto vale che li paghi! O no?
C’è chi fa l’esempio, un po’ a caso, del fatto che per guidare serva la patente o che al semaforo ci si debba fermare. Ma non sta in piedi perché i controlli al semaforo li deve fare il vigile, io cittadino non posso multare chicchessia. Stesso discorso per la patente, se uno mi da uno strappo, io presuppongo che ce l’abbia, ma spetta al carabiniere, al poliziotto o al vigile fermare e controllare.
Quindi delle due l’una: o lo Stato attraverso le sue strutture, fa un monitoraggio come si deve, oppure la campagna preventiva deve prendere un’altra piega. Scaricare la responsabilità sui cittadini, che devono sì essere responsabili, è una soluzione pilatesca, non una mossa da grandi statisti.
Vero è che in questo paese si reclamano moltitudini di diritti e si adempiono pochissimi doveri. Ma è vero anche che lo Stato, diritti ne garantisce sempre meno e soprattutto, restituisce poco ai suoi cittadini.

Sostieni il Sale della Terra
l’informazione libera ha bisogno di contributi liberi
1,00 €