Piccola narrativa, senza soluzione di continuità

Lavorare il sabato mattina è contro natura. Del resto il buon Dio quando ha creato il mondo il sabato si è riposato. Io no. Il sabato non mi riposo mai, anche se lavoro solo mezza giornata, ma è atroce lo stesso. Il telefono ha un suono più irritante, le persone sono più irritanti, la stessa colazione, pur non essendo minimamente diversa dalle altre cinque dei giorni precedenti, ha quel gusto amaro di scazzo controvoglia. Pure la barista ti guarda come a dire: che ci facciamo noi due qui?
Lavorare il sabato mattina è straziante, perché esistono sabati di assoluta tranquillità dove ti prepari al peggio e la tua adrenalina ti porta a fare lavori che non hai fatto neanche in un mese e, contemporaneamente, non vedi un cliente nemmeno a pagarlo oro. In alternativa hai quei sabati dove il sonno arretrato dei giorni precedenti te lo trascini dietro come un carcerato si trascina la sua palla incatenata e già dieci minuti prima dell’apertura hai persone davanti alla serranda, noncuranti del fatto che tu stai lavorando nel loro giorno libero. E’ come se te lo sbattessero in faccia.
Il loro giorno libero è il loro diritto supremo a romperti i coglioni, loro hanno tempo a fare il bricolage quel giorno lì, e non gli importa nulla se tu passi la settimana a svegliarti alle sei, uscire alle sei e mezza, iniziare a lavorare un’ora dopo e finire dodici ore dopo. Spesso hanno l’arroganza del posto fisso, magari statale, magari con secondo lavoro in nero perché queste persone, quando vanno a “lavorare” si riposano. Coi tuoi soldi da contribuente.
E allora eccolo il prototipo del cliente tipo del sabato mattina: impiegato comunale a riposo, con desiderio di montarsi una casetta di legno in giardino e che arriva, col suo carico di arroganza, a chiederti un non meglio precisato quantitativo di lamiere per il tetto della sua casettina in legno per la quale, daresti volentieri anche una latta di benzina con annesso pacco di fiammiferi in omaggio, da utilizzare nelle immediate vicinanze per una rapida estinzione del problema.
Non contento, il nostro cliente tipo del sabato mattina, non ha le idee chiare, mentre tu ne hai una sola: arrivare alla chiusura vivo. E mentre il tuo cervello prova a seguire i discorsi di chi si improvvisa ingegnere, architetto e geometra in una formula prendi tre paghi due; l’attenzione ti cade sul tagliacarte posizionato accanto alla corrispondenza da aprire. Lo sfiori con le dita, lo accarezzi, pensi al buon uso da farne. Poi sposti la mano sulla penna e raggiungi il progetto fantasmagorico del cliente tipo del sabato mattina. Il quale, consapevole evidentemente dell’apporto monumentale che avrebbe potuto dare, si è portato con sé la moglie che, se lui è un archingenieometra, lei è la sovrintendenza alle Belle Arti e, col suo fare da gallina sapiente ma che non ha nemmeno idea di come si pianta un chiodo, inizia a pontificare sul tuo lavoro e sulla qualità del materiale che offri.
Guardi sconsolato la montagna di burocrazia che ti eri proposto di sbrogliare mentre ascolti il fastidioso scorrere di queste due voci incrociate, semi isteriche, un filo annoiate nonché saccenti. Ti senti come se fossi uno psicoterapeuta che vorrebbe suggerire una soluzione a base di suicidio di coppia. La nebbia nel cervello sale e il tuo desiderio è solo di evaporare, sparire, lasciare che questi due se la sfanghino da soli, che vadano al centro del bricolage dove hanno comprato la loro fottuta casetta di legno, si sono fatti fregare una volta, possono farlo una seconda.
Poi all’improvviso ti chiedono se puoi farglielo subito.
Subito.
Non curanti che ho il personale a riposo il sabato.
Subito.
«Prima di lunedì non se ne parla. E comunque non avrei tempo almeno fino a mercoledì».
«Ma noi volevamo finire oggi, domani abbiamo gente non possiamo lasciare il giardino in questo stato».
«Non è un problema mio».
«Come scusi?»
«Non mi riguarda, non ho tempo. E comunque ci sono altre persone prima di voi»
A quel punto la moglie parte con una filippica allucinante, sul fatto che sono arrogante e quant’altro. Provo a difendermi argomentando i tempi e i modi del mio lavoro, nel mentre suona il telefono ed è un’altro cliente, seppur abituale, che però mi mette una fretta mostruosa per il lunedì mattina. Provo ad usarlo come giustificazione, al che il il cliente tipo del sabato mattina insinua un «c’eravamo prima noi».
Un secondo e mezzo. Il tempo che ho impiegato per afferrare il tagliacarte e piantarglielo in gola. Nell’estrarlo il sangue schizza ovunque imbrattando il vestito della moglie la quale non si sa se è più spaventata per il marito sgozzato o per il conto della lavanderia. Ma risolvo il problema afferrandola per i capelli e sbattendole ripetutamente la testa contro il bancone.
Prendo fiato. Senza nemmeno chiudere la serranda sposto i corpi in bagno, piazzo un cartello con scritto “fuori servizio” e poi torno in ufficio a pulire.
Arriva un altro cliente, il quale però mi fa perdere poco tempo e, come se dovesse dialogare per forza mi chiede «oggi pulizie?». Annuisco come a dire «van fatte anche quelle», dopo di che saluta e se ne va.
Penso a quello che ho da fare. La mattinata scorrerà abbastanza tranquilla, i corpi non sarà un problema farli sparire, su google maps ho individuato dove portarli con la loro macchina, due taniche di benzina e non ci penserò più.
L’unica rottura è che dovrò tornare a piedi.

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