Questione di fiducia (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 4 maggio 2020)

Hanno ripreso a correre i runner e, in alcune regioni, tra cui l’Emilia-Romagna, hanno ripreso gli allenamenti, con le giuste distanze, le squadre di serie A di calcio, l’unico campionato che per ora è rimasto sospeso, laddove gli altri hanno chiuso. Ma chi rischia di chiudere sono anche molte palestre, un indotto da 600.000 lavoratori di cui la metà a partita iva. E, sempre di metà si tratta, sono le strutture che, se il lockdown prosegue, rischiano di non riaprire. C’è paura, è ragionevole, ma non si vive d’aria. Si moltiplicano le manifestazioni pacifiche di imprenditori che protestano perché dichiarano che sono allo stremo, che vogliono lavorare, che dicono di poter garantire la sicurezza. Sarebbe ora, da parte dello Stato, di considerare adulti i propri cittadini, e d’accordo che se sul trasporto la quadra sarà difficile da trovare, occorre però fidarsi di chi ha un’impresa e ha tutte le intenzioni di rispettare i protocolli di sicurezza. Dopo l’aspetto preventivo, dev’esserci la presa di coscienza che i cittadini possono assumersi le responsabilità, sia che gestiscano un negozio o una palestra, sia che siano dei semplici avventori. Mi piacerebbe scoprire qual’è il tremendo morbo, qual’è la tremenda pandemia che fa si che gli italiani credano solo alla caricatura di se stessi e mai pensino di poter essere responsabili. Va bene, nel mondo abbiamo diffuso il verbo spaghetti-mafia-mandolini; ma dobbiamo ricordarci anche da dove veniamo e, soprattutto, cosa ancora siamo. D’accordo che ci sono innumerevoli casi che testimoniano una costante inaffidabilità o capacità di voltare la gabbana, ma proviamo per una volta a invertire il canone. Durante il così detto picco della pandemia, si registrava che il 95% degli italiani rispettava le regole, ma a fare notizia era sempre il restante 5%. Spalmatelo su sessanta milioni di abitanti. E d’accordo che manca un’oggettiva fiducia nella giustizia, che si dice sempre che in Italia non paga mai chi dovrebbe, ma sarebbe davvero l’ora di prendersi un po’ sul serio, dimostrare che le regole si rispettano, che non si è untori e, soprattutto, sarebbe ora di vigilare non solo sui runner, ma anche su chi applica la giustizia. Perché dare la possibilità di aprire è un’iniezione di fiducia, sorvegliare e punire chi sbaglia è giusto, ma è giusto anche sorvegliare il sorvegliante. L’anello mancante tra tutte le questioni di fiducia.

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