The show must go on? (aggiornamento alla rassegna ad alta quota del 27 aprile 2020)

Leggo da alcuni giorni lo sconforto che ha preso ad alcuni “amici” su Facebook, professionisti dello spettacolo o, come il sottoscritto, semplici amatori volontari, che fanno musica per scopo aggregativo in quanto suonatori di banda. Lo sconforto è che Giuseppi si è scordato di loro e di noi. Dei professionisti e dei volontari. Di gente che comunque il pil lo fa girare e lo crea. La prossima volta che sento dire che l’Italia è il paese della cultura metto mano alla pistola. E’ notizia di oggi che purtroppo hanno trovato il modo di fare quella baracconata insopportabile, seconda solo a Sanremo perché fortunatamente dura un giorno soltanto, del concertone del I maggio. Il concerto dei sindacati dove, a mia memoria, non ho mai, mai, mai e ripeto mai sentito un solo appello per i precari della musica, i disoccupati, i sottoccupati, i musicisti sanremesi pagati 50 euro al giorno, i tecnici di palco, i fonici, i manovali che montano, smontano (e talvolta muoiono, vero Jovanotti?) quelle megastrutture buone per quelle messe laiche del rock, autoreferenziali, con pubblico di pecoroni al seguito adorante e insopportabile.

In questi giorni abbiamo celebrato le nuove canzoni di Bob Dylan e parlato di quanto spaccano gli Stones dai loro salotti di lusso. Abbiamo visto i Modena City Ramblers fare le maratone Facebook per il 25 aprile ma loro, che sono così compañeros, loro che “non c’è I maggio senza Bella Ciao”, loro accidentaccio che sono pure uno dei miei gruppi preferiti, li avessi sentiti una volta spendere una parola per i loro colleghi più disparati.

Lo stato si è dimenticato di tutti: associazioni culturali, di danza, scuole di musica private, vale a dire le associazioni di chi non è riuscito a entrare nella mangiatoia statale, precari dei teatri e quant’altro. Gli indipendenti veri, non i sedicenti indie da centro sociale, sono alla fame. Quelli che non hanno un giro fuori dalle associazioni stile Lions o Rotary, o che non hanno la tesserina di partito, o anche solo del circolo culturale legato al partito, sono fuori dai giochi.

Molte bande, legate all’indotto delle sagre e ai cerimoniali civili, e che sono il primo approdo musicale soprattutto nei piccoli paesi, quest’anno si sono già viste ridurre il contributo da parte dei comuni di appartenenza, con le molte feste che salteranno mancheranno i sostentamenti minimi e per molte la ripartenza sarà difficile. Idem i cori, spesso legati alla vita di parrocchia, ma coi divieti di assembramento, e le messe vietate, anche qui campa cavallo. Dai professioni non allineati, fino ai dilettanti scalzacani, la cultura è finita nel dimenticatoio. Non che prima ci fossero tutte queste attenzioni, ma almeno tra amici degli amici qualcosa veniva tenuto vivo. E così continuerà ad essere se non ci si rende conto di cosa si sta perdendo in questo periodo. Perché al di fuori di chi riuscirà a entrare in quell’altra mangiatoia che è il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) il rischio è che quando ci sarà da ripartire anche solo con una festa in piazza, anche lì si conteranno i cadaveri.

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