Cinque anni fa, su pagine diverse da queste avevamo detto che, al netto dell’astensione, se il PD avesse avuto un avversario credibile, avrebbe avuto i voti che, al tempo, i loro detrattori facevano notare d’aver perso. Ora l’avversario credibile c’è e, checché ne dica il presidente uscente Stefano Bonaccini, non è la controfigura di Salvini, bensì una donna con del carattere, che già nel 2016 aveva portato al ballottaggio il sindaco uscente di Bologna, Virginio Merola che era in lizza per il secondo mandato. E per la cronaca, a chi dice che appunto, la signora è inesperta e poco convincente senza il suo leader di partito, va detto che a Bologna, a portare il centro sinistra al ballottaggio ci sono riusciti in tre: Guazzaloca (che poi ha vinto), Alfredo Cazzola (sconfitto con venti punti di distacco) e per l’appunto Lucia Borgonzoni, che ha perso per quasi dieci punti di distacco. E Merola, come detto era in lizza per il secondo mandato, dopo che il primo l’aveva conquistato a mani basse. Questo per sottolineare che l’Emilia, non è diventata di colpo leghista, la regione non è in bilico solo perché c’è di mezzo un governo nazionale disgraziato e traballante, ma c’è una storia che parte da lontano.
Tiriamo un sospiro di sollievo col fatto che la campagna elettorale è finita, non se ne poteva veramente più, troppo di tutto, e troppi pochi contenuti. Bonaccini oggettivamente nervoso, Borgonzoni sorridente sempre, al netto degli insulti sessisti anche da parte delle femministe, gli altri cinque candidati totalmente ignorati.
L’interesse è talmente vasto, per questa regione, a differenza di cinque anni fa che nemmeno noi sapevamo a momenti che si votasse, che persino Internazionale sono due settimane che dedica articoli, uno tradotto dal Financial Times su Salvini e, questa settimana alle Sardine con un pezzo di Open Democracy.
Pronostici non ne faccio, so che se vincerà Bonaccini non cambierà nulla, ma sarà una vittoria di Pirro per un agonizzante partito democratico. Tuttavia, come ha notato qualcuno più esperto di me in Emilia i vincitori saranno comunque gli altri. Questo perché un presidente uscente che anziché far valere quanto di buono fatto e quanto di buono potrebbe fare, si è concentrato su una presunta assenza della principale avversaria, irritandosi nei talk show ogni volta che veniva minimamente incalzato. E la Borgonzoni, non ha avuto bisogno di ribattere granché, a fronte della sua pacatezza, che quasi stride col suo leader di partito, la cui presenza in terra emiliano romagnola è stata vissuta con fastidio dal barbuto presidente uscente, perché lui, di per sé non ha potuto contare su una leadership nazionale spendibile.
Ed è questo il dato che emerge in queste regionali (ricordatevi che si vota anche in Calabria!): il PD fino all’altro ieri, non ha avuto bisogno di coinvolgere la leadership nazionale, in quanto la macchina del consenso locale era più che oliata. Ora però, con un partito sempre più in crisi d’identità, sempre più legato alle elités e meno al popolo da cui proviene, e con un sistema che oramai gli emiliano romagnoli, popolo pragmatico più che ideologico, non sopportano più, ecco che la leadership nazionale da un lato manca, e dall’altro è necessario regionalizzare lo scontro, tanto che, se Bonaccini vincerà, sarà solo per merito suo.
D’altro canto però, la regionalizzazione di un elezione, che, a differenza delle precedenti tornate locali (Piemonte escluso) coinvolge 3,5 milioni di elettori, è un maldestro tentativo di distogliere l’attenzione da un governo mal digerito dagli italiani.
Domenica vedremo, nel frattempo, riposate le orecchie, che di rumore in questa campagna elettorale, ce n’è stato fin troppo.