Questo post potrebbe essere un addio alla scrittura. Per lo meno un certo tipo di scrittura per l’esattezza quella giornalistica.
Ebbene sì, mi ritiro. Mi sono rotto, stufato, stancato, scegliete voi la versione che preferite. Ho aperto il mio primo blog nel 2007, nello stesso anno con alcuni compagni di università mettemmo insieme una rivista culturale, durata un paio di anni, senza troppa credibilità. Nel 2008 ho iniziato un’attività di corrispondente per la Nuova Gazzetta di Modena, esperienza esauritasi nel corso del 2011. Per la verità sarebbe meglio dire esperienza scemata: io non mi sono fatto più progressivamente sentire (avevo iniziato a lavorare), loro hanno smesso di farsi sentire. Ho ripreso nel 2013 con Modena Qui poi, nel 2014, i simpaticoni, senza dire nulla hanno deciso di chiudere il giornale cartaceo, lasciando aperto il canale tv, ma i corrispondenti non se li è cagati nessuno. Neanche un grazie, anche si i soldi sono sempre arrivati. Pochi, ma sono arrivati.
Nello stesso anno mi iscrivo su Blasting News, nella speranza che il social journalism mi porti visibilità (poca) e soldi (ancora meno). Ma i lettori non ci sono stati e, per fare il giornalista social occorre, come si dice dalle mie parti, star li col culo, fare più di un pezzo al giorno e cliccare ripetutamente al limite dello spamming su Twitter, Facebook e quant’altro per condividere l’articlo e ottenere i click di utenti unici che ti servono per darti credibilità. Blasting News una sua credibilità nel mondo se la sarà guadagnata, chi ci collabora molto meno. Nell’ultimo periodo, complice una non meglio definita collaborazione con la pagina Facebook di Superbasket (un bel modo per avere collaboratori e articoli gratis, perché il social non è una testata giornalistica e SB un sito non ce l’ha) ho intensificato le pubblicazioni da Blaster, provando anche a seguire la pallacanestro femminile e cercando di ritagliarmi una nicchia. Però non ho pazienza. Per lo meno non più. O funzioni o non funzioni, per lo meno questo è ciò che ho capito. E per quanto mi ritenga bravino, perché bene o male un seguito ce l’ho (ma non è sufficiente a far di me un giornalista ma solo un cronista) probabilmente, come nella vecchia pubblicità dell’Ace, sbaglio candeggio. Nella vita sono artigiano, ma l’artigianato letterario è qualcosa che non può essere un dopolavoro. Un blog invece si.
Così ritorno alle origini, come il vecchio Jack Tempesta del defunto Splinder. Solo un blogger, solo un parolaio, solo uno dei tanti, troppi opinionisti sparsi nell’etere. Occorre un bagno di umiltà, di più non posso dare. Quando ero uno studente ero riuscito a crearmi un seguito, poi varie vicende, la chiusura di Splinder, il tentativo di darsi dei quarti di nobiltà con una veste più seriosa dei blog, il non saper far marketing di se stessi (i veri indipendenti si contano su una mano, chiedete a Massimo Del Papa) hanno fatto si che io non mi sia mai fatto una vera carriera. E lo accetto con serenità, anche se della scrittura avrei voluto farne un mestiere.
Non rinuncio totalmente, ma rinuncio ad un aspetto, quello della cronaca, del raccontare giorno dopo giorno. C’è stato un tempo in cui ci riuscivo, ma poi dovevo anche mangiare, pagarmi i vestiti, eccetera no, non ce la potevo fare. Non in provincia di Modena, sui monti in appennino. Non puoi vivere di questo, e nemmeno farne un hobby lucrativo.
Se proprio devo scrivere lo faccio e basta, come posso quando posso, come mi viene senza applausi o fischi. Vendere non passa tra i miei rischi, almeno con le parole.
Scendo qui, poi ci saranno altre tappe, ma almeno non proverò a fare di un’utilitaria una fuoriserie.
Ci si scrive (e ci si legge) più avanti.
Così ritorno alle origini, come il vecchio Jack Tempesta del defunto Splinder. Solo un blogger, solo un parolaio, solo uno dei tanti, troppi opinionisti sparsi nell’etere. Occorre un bagno di umiltà, di più non posso dare. Quando ero uno studente ero riuscito a crearmi un seguito, poi varie vicende, la chiusura di Splinder, il tentativo di darsi dei quarti di nobiltà con una veste più seriosa dei blog, il non saper far marketing di se stessi (i veri indipendenti si contano su una mano, chiedete a Massimo Del Papa) hanno fatto si che io non mi sia mai fatto una vera carriera. E lo accetto con serenità, anche se della scrittura avrei voluto farne un mestiere.
Non rinuncio totalmente, ma rinuncio ad un aspetto, quello della cronaca, del raccontare giorno dopo giorno. C’è stato un tempo in cui ci riuscivo, ma poi dovevo anche mangiare, pagarmi i vestiti, eccetera no, non ce la potevo fare. Non in provincia di Modena, sui monti in appennino. Non puoi vivere di questo, e nemmeno farne un hobby lucrativo.
Se proprio devo scrivere lo faccio e basta, come posso quando posso, come mi viene senza applausi o fischi. Vendere non passa tra i miei rischi, almeno con le parole.
Scendo qui, poi ci saranno altre tappe, ma almeno non proverò a fare di un’utilitaria una fuoriserie.
Ci si scrive (e ci si legge) più avanti.