La Spagna di Del Bosque somiglia sempre di più all’impero spagnolo di Filippo II. “Quando la Spagna si muove la terra trema ” dicevano, fino a quando non si scontrarono con la marina britannica e, quella che era stata definita “Invincibile Armada”, affondò mestamente nonostante la superiorità numerica. Il calcio spagnolo è tutt’altro che in crisi visti i risultati dei club iberici; e per me che guardo, se va bene, una partita per intero solo
quando gioca l’Italia ai mondiali o agli europei, l’impressione è che il “tiki-taka” sia servito solo a far marciare dritta una squadra che, storicamente formata dal blocco “Real” e dal blocco “Barca”, avrebbe continuato a girare a vuoto. Capito il gioco, le altre squadre l’hanno smontato, e tanti saluti alle Furie Rosse. Sicuramente qualche calciofilo esperto può smentirmi, però a scrutare semplicemente l’albo d’oro della Champions League, si nota che il calcio ispanico è tornato alla ribalta negli anni ’90 coi suoi club più blasonati, ma la nazionale ha imposto la sua legge solo 10 anni più tardi collezionando, prima dei trionfi, una serie di prestazioni anche imbarazzanti. Vero che a club vincenti non corrispondono nazionali trionfanti, altrimenti nei suddetti ’90 avremmo vinto almeno due titoli mondiali (anche se i podi ci sono stati eccome!) ma la mia impressione è che la nazionale spagnola e, più in piccolo il dualismo Real Madrid- Barcellona, rifletta la crisi di un paese che si è perso. Fino al 2008 la Spagna era un fiume in piena, in crescita economica e lo sport, con campioni come Alonso in Formula 1, Nadal nel tennis, la nazionale di calcio di Aragones, quella di basket campione del mondo nel 2006 e quella di pallavolo campione d’Europa nel 2007 ne erano lo specchio. Oggi, papere di Casillas a parte, vuoi per il trambusto causato dalle dimissioni di Re Juan Carlos che hanno risvegliato istinti repubblicani, vuoi per le tensioni tra Catalani e Castigliani (di cui Real e Barca sono la rappresentazione), la crisi economica e la disoccupazione stellare, la nazionale Spagnola è poca cosa, lo specchio di un paese diviso. Sono convinto che il tracollo dei bi campeones d’europa y del mundo non sia dovuto all’appagamento o alla stanchezza. Quelli, in spogliatoio, fanno come gli slavi a inizio anni ’90.
(A riguardo, per dare un’idea, segnalo un articolo di Sergio Travcar sul redivivo Superbasket, che fa il gioco dei se e dei ma con lo sfaldamento della Jugoslavia e del suo dream team cestistico; inoltre segnalo questo bel post dagli 11IS di qualche tempo fa. La Spagna per ora non è messa così male, ma non si può mai sapere. Pensavamo lo stesso dell’Ucraina fino a un po’ di mesi fa. )
Capitolo Brasil. Non me ne vogliano gli esperti di calcio, né i tifosi del Brasile, ma alla luce del pareggio 0-0 contro il Messico, i pentacampeao, fatti salvi gli aiuti arbitrali son poca cosa, in primis perché le minestre riscaldate, a meno che non siano a base di fagioli borlotti e maltagliati che fanno un sugo di volta in volta più denso, funzionano sempre male. Alcuni esempi? In Italia Sacchi fece un grandissimo ciclo al Milan tra l’88 e il 91, ma il suo ritorno nel 96-97 fu poca cosa, stesso discorso vale per gli Juventini Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi. Il primo tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80 portò la Juve dove non era mai stata, ma al remake degli anni 90 vinse “solo” una Uefa. Lippi ripeté con qualche titolo in meno l’epopea del Trap tra il ’95 e il ’98, poi a inizio anni 2000 si accontentò di un paio di scudetti ma in europa rimase a bocca asciutta. Lippi che poi in due edizioni mondiali, riuscì a fare il meglio e il peggio che un allenatore può fare. Il che significa che i ritorni in panchina, non sempre costituiscono ritorni alla gloria. Son dunque avvisati i verdeoro dato che anche da quelle parti, quanto a superstizioni non scherzano: se la prima volta son rose, la seconda difficilmente fioriranno, anche se il mondiale è quello di casa.
Luis Felipe Scolari è alla seconda volta da allenatore della Selecao e stando ai precedenti, difficilmente ripeterà l’exploit del 2002. Il Brasile ha avuto già due ritorni eccellenti sulla sua panchina: quello di Mario Zagalo, che guidava la Selecao che si aggiudicò la Rimet del 1970 ma che perse rovinosamente al Saint Denis di Parigi nel ’98 dalla Francia; e quello di Carlos Alberto Parreira che vinse (ahinoi) ai rigori di Pasadena nel ’94 ma che non andò oltre ai quarti nel 2006. A questo aggiungo che il Brasile di quest’anno, tolto Neymar Jr. non mi pare abbia molte frecce al suo arco. Per lo meno nel 2002, il Brasile non avrà avuto cinque numeri 10 come a Mexico ’70, ma con Ronaldo, Rivaldo e Ronaldinho non se la passava male (anche se va detto che la consistenza degli avversari era poca cosa). Oggi, complice la mia ignoranza pallonara non so come se la passi, ma dopo aver visto le sintesi (ebbene sì) delle partite con Croazia e Messico, posso dire che la loro difesa tiene (sempre che non ci si metta di mezzo Marcelo) ma l’attacco è poco incisivo a meno di non lasciarli giocare. Questi, se vanno ai rigori in una partita a eliminazione diretta (col Camerun dovrebbero passeggiare anche solo per proprietà transitiva), non reggono la pressione.
Postilla orange: l’Olanda ha impressionato con la Spagna ma Cile e Australia, a mio modesto parere, hanno dimostrato due cose: 1) che le furie rosse, se si escludono le mie teorie riportate più sopra, sono per lo meno bollite 2) che se i tulipani si concedono dormite in difesa, non appena trovano una squadra un po’ più solida e determinata, verranno eliminati con la coda tra le gambe.
Aspetto opinioni calcistiche più attendibili delle mie.
Stefano