si sta relativamente tranquilli in appennino. teniamo le orecchie puntate sulle radio locali, per essere informati sulla situazione, con lo sciame sismico che sembra non voglia saperne di cessare, coi parenti in pianura che ci dicono che stanno bene anche se hanno visto la loro vecchia abitazione, dove son stati fino a qualche anno fa, crollare e sparire lasciando i ricordi sopra e sotto la polvere. provi a contattare le persone che sai vivere laggiù e respiri il loro dramma, guardi il telegiornale e hai gli occhi lucidi. tieni gli occhi puntati sui social network, per guardare le informazioni in tempo reale, leggi i giornali, ti informi su come sta lavorando la macchina dei soccorsi. incontri amici che sono nella protezione civile e vedi i loro occhi stravolti. lavori, e vai avanti e ti senti fortunato una volta di più. sai che nella tua zona sono arrivati degli sfollati e allora di nuovo ci si informa su quello che si può fare. poco o tanto non importa, non abbiamo tempo per piangere, bisogna fare, agire, non aspettare che si muovano quelli importanti. inizi a fottertene delle parate e delle polemiche, perché hai (ri)scoperto che le istituzioni, quelle più vicine alla gente, funzionano e ci sono in prima persona (un sindaco di un paese vicino al mio è in prima linea coi volontari della protezione civile). riempi la pagina di un blog per dire che la vita sta continuando, che un altro giorno è andato, il tremore non passa, ma nemmeno la voglia di ripartire. ci sentiamo più fragili, a volte inutili (alla fine a che serve il mio scrivere?), però uniti come non mai. è qualcosa di ancestrale, perché è la tua stessa terra che trema, anche se solo cento chilometri più in là.
Stefano Bonacorsi
p.s.: ho pensato che potesse adattarsi alla situazione…