la canzone che non c’è.

vigilia di un Sanremo e terrore che invade le nostre orecchie. non so chi partecipa, ma del resto neanche chi prende parte alla gara lo sa, so solo che anche quest’anno c’è Morandi e che Celentano, che non ho capito quante serate fa, prende un compenso stratosferico da devolvere in una non meglio precisata beneficenza. Sanremo è anche chiamato il festival della canzone italiana, ma è da un bel po’ di tempo che mi chiedo dove sia questa canzone italiana, chi rappresenti e soprattutto cosa. la scorsa settimana, uno dei massimi rappresentanti della canzone italica, Vasco Rossi, ha compiuto sessant’anni, un po’ più di trenta li ha passati cantando, sicuramente gli ultimi venti li ha passati per lo più rompendo. e dire che c’è stato un periodo in cui questi dinosauri, oggi fuori tempo massimo, erano davvero la canzone italiana. se Celentano e Morandi sono stati i cantanti del boom economico, Rossi è stato il cantante che meglio ha rappresentato (e anticipato) l’epoca dell’ostentazione, dell’individualismo sfrenato e della disillusione, tanto che oggi, a trentaquattro anni dal suo esordio, ancora non c’è stato uno in grado di succedergli nel dare una voce a quest’epoca, e lui sprofonda nell’ovvietà più ovvia, senza più graffiare, voce rassegnata per un popolo di rassegnati. parafrasando il Moretti di “Palombella rossa” cosa significa oggi Sanremo? nulla di più di quanto non significhi tutto il resto, la nostra sciatta politica che tenta di sopravvivere a se stessa, il nostro campionato di calcio, che sorprende solo gli ingenui, il nostro costume che si riscopre solidale, solo quando la catastrofe bussa alla porta. Sanremo è la canzone che ci meritiamo oggi, un ricordo da poco, un ronzio da dimenticare, polemiche gratuite, i risultati che si sanno in anticipo, la farsa che si fa spettacolo tutti che sanno tutto e tutti che fingono magistralmente. specchio di un’Italia che non sa più (in)cantare, o per lo meno non lo fa con gioia, non coglie l’emozione perché troppo impegnata a sopravvivere; Sanremo ci passerà sopra come una finanziaria, l’ennesimo tributo da pagare, l’ennesimo carrozzone inutile da mantenere, con buona pace del rigore e della sobrietà. intanto per strada, mentre cammineremo, non ci accorgeremo che quello che ci manca davvero, è una canzone che canti di questo tempo, senza pretese di impegno sociale o di chissà quali altre cose. quello che ci serve è una canzone che parli di noi, che ci ricordi le nostre paure senza opprimerci, che ci inviti ad andare avanti anche quando tutto intorno non restano altro che le nostre macerie. qualcosa che quando lo ricorderemo, ci faccia pensare a questo tempo col sorriso di chi ce l’ha fatta, anche grazie a questa canzone che non c’è.

Stefano Bonacorsi

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